Gli stipendi dei docenti italiani sono tra i più bassi nell’area dei Paesi più avanzati: rispetto ai docenti della Germania, ad esempio, il compenso di un insegnante italiano a fine carriera è all’incirca dimezzato. E rispetto ad alcuni Paesi nordici il divario cresce ulteriormente. Lo sanno bene i lavoratori. E pure i sindacati, i quali non mancano occasione per ribadirlo.
La Gilda degli insegnanti ha raccolto oltre 30 mila firme, attraverso una piattaforma on line dedicata, e in tutte le scuole d’Italia grazie all’impegno in prima linea di Rsu e Tas.
L’iniziativa si è conclusa il 6 giugno, a ridosso del termine delle lezioni, con la consegna delle sottoscrizioni alla presidenza del Consiglio dei ministri.
“Il numero elevato di adesioni – spiega Rino Di Meglio, coordinatore nazionale del sindacato, che si è recato a Palazzo Chigi con una delegazione della Gilda per depositare le firme – è una spia inequivocabile del disagio e del malcontento che serpeggia tra gli insegnanti e della loro voglia di riscatto”.
Come ha evidenziato uno studio del Centro Studi Nazionale della Gilda degli Insegnanti, in 10 anni le retribuzioni dei docenti italiani sono calate mediamente del 7% rispetto all’andamento dell’inflazione: in pratica, dal 2007 a oggi gli stipendi sono diminuiti di circa 170 euro lordi.
“La significativa riduzione del potere di acquisto – dice Di Meglio – ha provocato una sostanziale diminuzione anche del prestigio sociale dei docenti. Le buste paga sempre più leggere hanno portato gli insegnanti a diventare fanalino di coda non soltanto nell’impietoso confronto con i colleghi degli altri Paesi europei, ma anche con tutti gli altri dipendenti pubblici italiani”.
Secondo il leader della Gilda, “per cambiare questa situazione indecorosa, occorre recuperare la progressione di carriera scippata nel 2013. Bisogna, inoltre, investire maggiori risorse nel rinnovo del contratto, a partire dalle somme stanziate dalla legge 107/2015 per il bonus merito che non serve per premiare davvero i bravi insegnanti”.
“Ci auguriamo che il presidente del Consiglio, che ha già dimostrato sensibilità e apertura verso questo tema impegnandosi in prima persona con l’accordo siglato lo scorso 24 aprile con i sindacati rappresentativi della scuola, presti ascolto alle richieste di chi ogni giorno lavora per formare l’Italia del futuro e alle quali dà voce la nostra petizione”.
Va segnalata, infine, la notizia di Italia Oggi, secondo la quale “il docente che passa alla regione partirebbe da zero”, per via di “una sentenza della Cassazione sullo status retributivo in caso di passaggio di ente”.
In pratica, il personale scolastico di ruolo ripartirebbe da zero: l’Anief ha calcolato che “con il passaggio alle Regioni, l’incremento salariale sarebbe di circa 200 euro lordi, mentre il Contratto collettivo nazionale della scuola prevede l’assegnazione di scatti automatici che a fine carriera arrivano a 700 euro netti.
Secondo il presidente nazionale del sindacato autonomo, Marcello Pacifico, “si tratta di un prezzo da pagare improponibile, perché gli aumenti periodici, che al personale della scuola si attuano dopo otto anni dall’assunzione e successivamente in media ogni lustro, rappresentano oggi l’unica forma di carriera”.
Nei giorni scorsi, si era calcolato che il personale docente interessato al passaggio alle Regioni sarebbe stato attorno al 25%, quindi poco meno di 200 mila unità: stando così le cose, qualora l’azzeramento stipendiale dovesse realizzarsi, i numeri saranno decisamente più ridotti, con i soli neo-assunti, a quel punto, interessati ad aderire.
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