Imparare a non odiare è fondamentale per le vittime di reati violenti, perché nutrirsi di odio per anni significa rinunciare a vivere; fondamentale per le vittime dei reati “di allarme sociale” come i furti o gli scippi, perché comunque c’è una forte spinta a trasformare l’allarme sociale in odio, che significa coltivare un clima di angoscia e insicurezza che peggiora enormemente la qualità della vita di tutti; fondamentale per i famigliari delle persone detenute, che arrivano a detestare la loro condizione, quel paradosso per cui sono vittime trattate spesso allo stesso modo degli autori di reato.
La scelta di un tema complesso come il rapporto tra autori e vittime di reato è nata nella redazione di Ristretti Orizzonti in modo molto limpido: prima di tutto, durante un incontro in cui Olga D’Antona ha accettato di venir lì a parlare, in mezzo a persone che si sono macchiate di reati di
sangue, del suo dolore e della “fortuna di non saper odiare”; poi, quando in un incontro con gli studenti una ragazza si è alzata in piedi e ha spiegato che cosa vuol dire essere rimasta vittima di un reato come il furto in appartamento e aver perso il coraggio di tutto, di uscire ma anche di restare in casa, nel luogo che dovrebbe essere per eccellenza quello dell’intimità e della sicurezza. I reati, anche quelli meno gravi, non possono essere “monetizzati”, non è la perdita materiale ciò che angoscia chi li subisce.
Ma imparare a non odiare è una strada obbligata anche per chi sta in carcere: perché tanti reati nascono proprio da una incapacità di controllare i propri “cattivi sentimenti” e da una mancanza di rispetto, un odio autentico per la vita degli altri, e in fondo anche per la propria. E il carcere, poi,
spesso si trasforma in un moltiplicatore di odio, perché rende gli autori di reato a loro volta vittime di una carcerazione, nella quale spesso non è garantito neppure il rispetto della dignità delle persone.
Il 23 maggio sarà dunque prima di tutto una “Giornata di ascolto” di chi ha subito un reato e di confronto “severo” su questo tema. Vi parteciperanno più di 100 detenuti della Casa di reclusione e alcune centinaia di persone provenienti dal mondo “libero”, magistrati, avvocati, operatori penitenziari, operatori sociali, docenti, studenti.
Hanno dato la loro disponibilità a intervenire:
• Olga D’Antona, vedova del giurista Massimo D’Antona, ucciso dalle Brigate Rosse il 20 maggio 1999.
• Andrea Casalegno, figlio di Carlo Casalegno, il primo giornalista italiano assassinato dai terroristi. un commando delle Brigate Rosse che gli sparò il 16 novembre 1977.
• Giuseppe Soffiantini, industriale bresciano, sequestrato il 17 giugno 1997 e rimasto per 237 giorni alla mercé di una delle più feroci bande di sequestratori.
• Manlio Milani, presidente della “Associazione familiari vittime di piazza della Loggia”
Parleranno di giustizia riparativa:
• Adolfo Ceretti, docente di Criminologia presso la Facoltà di Giurisprudenza, Università di Milano-Bicocca, e Coordinatore Scientifico dell’Ufficio di Mediazione Penale di Milano
• Federica Brunelli, mediatrice dell’Ufficio di Mediazione Penale di Milano
• Maria Pia Giuffrida, Dirigente Generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e Presidente della Commissione di studio “Mediazione Penale e giustizia riparativa”
• Carlo Alberto Romano, docente di Criminologia all’Università degli Studi di Brescia e Presidente dell’Associazione “Carcere e territorio” di Brescia
Conducono il confronto Daniela De Robert, giornalista del TG2 e autrice del libro “Sembrano proprio come noi”, e Ornella Favero, responsabile di “Ristretti Orizzonti” Ci saranno anche testimonianze di insegnanti e studenti che hanno partecipato al progetto di confronto tra scuola e carcere, e che hanno raccontato che cosa significa nella vita di una persona “regolare” subire un reato, e testimonianze di famigliari delle persone detenute, che sono vittime che difficilmente riescono a stabilire un contatto con le altre vittime, quelle che hanno subito un