Oltre trecento scuole britanniche hanno deciso di abbandonare pronomi e sostantivi che si riferiscono esplicitamente al sesso femminile o maschile. Per questo gli istituti hanno firmato un programma dell’associazione per i diritti lgbqt+ inglese, Stonewall. Lo riporta La Repubblica.
In particolare si tratterebbe di accantonare le classificazioni “maschio” e “femmina”, i pronomi maschili e femminile “he” e “she” e “ogni inutile riferimento” che faccia riferimento a uno specifico gender. Per esempio, nel testo, si esortano insegnanti e operatori scolastici a rinunciare agli appellativi “boys” e “girls” per utilizzare invece i neutri “young people” (“giovani”) o “team”. Lo stesso per i pronomi personali “he” e “she”, che andrebbero rimpiazzati con “they” (il più generico “loro”, “essi”).
Quella delle scuole è una dichiarazione di intenti e non è chiaro quante di loro stiano davvero applicando il programma di Stonewall, interamente o in maniera parziale. Per essere nella lista gli istituti scolastici in questione, asili nido, scuole primarie e secondarie, pagano una quota di circa 100 euro all’anno al gruppo di attivisti per i diritti trans e gay.
L’anno scorso uno studente di un liceo romano ha usato, nel tema della prima prova alla maturità, la schwa, il simbolo grafico adottato dalla comunità non-binary, da chi non si riconosce né nel genere maschile né in quello femminile. Il ragazzo ha sfidato la commissione, consapevole che avrebbe potuto invalidare il proprio compito, in nome dei propri ideali. La sua scelta è stata apprezzata: lo studente ha ottenuto un voto di 17 su 20.
“Volevo dimostrare che utilizzare una forma di linguaggio che rappresenti tutti e tutte è possibile, anche durante una prova importante come l’esame di Stato. Sì, è stato anche un gesto di sfida, ma non verso la commissione, bensì verso il sistema scolastico e la società, è entrato nel mio modo di pensare e sarebbe complicato non utilizzarlo per esprimermi”, queste le sue parole.
Al sondaggio della Tecnica della Scuola del 2021 la stragrande maggioranza dei 3.233 rispondenti ha detto no all’uso dello schwa nelle comunicazioni scritte, in controtendenza, ad esempio, con gli alunni del liceo Cavour di Torino che hanno chiesto e ottenuto che nel proprio istituto si usi l’asterisco al posto delle desinenze maschili e femminili. In altre parole, non più “studente”, ma “student*”, non “iscritti”, ma “iscritt*”, non “ragazzi” ma “ragazz*”.
Tra i lettori della Tecnica della Scuola, gli insegnanti a dire no sono l’87,2%, 8 su 10 sono gli studenti e lo stesso risultato lo ritroviamo anche nella categoria altro, che comprende i genitori, il personale Ata e non solo. Insomma, anche tra la stessa generazione zeta (i nati tra la fine degli anni novanta e la fine degli anni duemila) il simbolo dello schwa sembra non convincere, segno che la lingua, per i ragazzi, debba sì essere inclusiva, ma anche assolvere al compito di consentire una comunicazione efficace.
Secondo le linee guida del governo britannico, emesse ad inizio 2023, gli insegnanti dovrebbero valutare se gli studenti che desiderano passare a un altro sesso sono stati “influenzati dai social media o dai coetanei“.
Inoltre, vi si legge, “le scuole e gli istituti dovrebbero cercare di comprendere i fattori sociali o di altro tipo che possono aver influenzato il bambino, ad esempio: il bambino si sente spinto a identificarsi in modo diverso perché semplicemente non si allinea agli stereotipi associati al suo sesso?”.
La bozza di linee guida sono state emesse dal segretario all’Istruzione, Gillian Keegan, e dal ministro per le Pari opportunità, Kemi Badenoch; l’idea è che non vi sia “alcun dovere generale” per le scuole e gli istituti di permettere agli studenti di cambiare i loro nomi, i loro pronomi o le loro uniformi preferite – la cosiddetta transizione sociale – e si sottolinea che i genitori dovrebbero essere coinvolti in qualsiasi decisione.
La guida britannica prevede che le scuole mantengano servizi igienici e spogliatoi separati per ciascun sesso dopo gli otto anni, che il personale e gli studenti possano ignorare i pronomi preferiti dai bambini in transizione sociale e che le attività sportive e di educazione fisica siano separate per sesso se ci sono problemi di sicurezza.
In Italia il Ministero dell’Istruzione non ha ancora provveduto ad emanare Linee Guida specifiche per l’attivazione della Carriera Alias per studenti trans, alle quali le Scuole di ogni ordine e grado possano fare riferimento per redigere appositi protocolli. La Carriera Alias, lo ricordiamo, è un accordo di riservatezza tra la scuola, la giovane persona trans che frequenta la scuola e la sua famiglia, se minorenne: una procedura per cui nel registro elettronico viene inserito il nome scelto dalla persona in transizione al posto di quello anagrafico, con l’obiettivo di evitare l’imbarazzo di dover continuamente spiegare la propria situazione e subire possibili episodi di bullismo e prevenendo così un possibile abbandono scolastico.
Ad oggi sono 314 le scuole che in Italia hanno implementato la Carriera Alias, secondo i dati a disposizione di AGEDO, l’associazione di genitori, parenti e amici di persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender, + nata nel 1993, con sede legale a Torino e sede amministrativa nazionale a Milano.
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