Con il nuovo anno scolastico agli studenti sarà imposto il divieto del telefono cellulare in classe: lo prevedono le nuove linee guida sull’educazione civica, anche se non fanno cenno stop assoluto degli smartphone in classe, in questo momento al vaglio del Cspi. La disposizione è stata annunciata pochi giorni fa dal ministro Giuseppe Valditara, che nell’occasione ha parlato di “piccola rivoluzione”. Lo stesso numero uno del Mim qualche settimana prima, lo scorso 10 luglio, aveva detto che “bisogna evitare che gli strumenti digitali rubino il desiderio di vita” e per tali motivi aveva “firmato una circolare che vieta dal prossimo anno scolastico l’utilizzo del cellulare a qualsiasi scopo dalle scuole d’infanzia alle scuole medie”.
Basterà la “stretta” del Ministro per ridurre la dipendenza dei giovani? Certamente, la scuola manderà un bel segnale ai giovani. Ma la maggior parte degli esperti e addetti ai lavori ha molti dubbi sull’efficacia della disposizione anche al di fuori delle mura scolastiche. Perché servirebbe anche l’esempio dei genitori. I quali, invece, inviano messaggi di tutt’altro tenore.
I primi ad esprimere questo concetto sono gli esperti di educazione affettiva e sessuale. Come Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta: lo scorso mese di maggio ha rilasciato a ‘La voce dei Berici’ un’intervista sostenendo che
“non possiamo immaginare che il virtuale sia gestibile – anche in termini quantitativi – quando non si sono ancora superati i 14 o 16 anni: è il concetto di dare le cose al momento giusto della vita. Occorre regolare l’accesso al virtuale, perché il minore non sa darsi limiti e orientamenti da solo”.
“Da anni vediamo finire in terapia minori che si svegliano alle 2 di notte per continuare il proprio videogioco. I dati rilevano che in particolare le ragazze che hanno un profilo social prima dei 16 anni sviluppano nel 40% dei casi ansia intensa rispetto alla propria immagine corporea e al socializzare”.
Secondo Pellai, “l’adultescente è un adulto ancora molto adolescente, basato sul modello del migliore amico, ma i ragazzi e le ragazze hanno già tanti amici, mentre i riferimenti adulti sono i genitori e gli insegnanti, ai quali è chiesto, per essere educatori, di essere certo anche amichevoli, ma persone adulte”.
Dello stesso parere sembra che siano diversi “attori” del panorama scolastico. “Prima delle parole – sostiene Cristina Costarelli, presidente Anp Lazio – è necessario l’esempio. Se gli adulti, soprattutto genitori e talvolta anche gli educatori, hanno sempre lo smartphone in mano, le lezioni, i rimproveri e i divieti servono a poco, anzi, sortiscono l’effetto opposto di aumentare l’utilizzo coatto e ribelle”.
“Prima delle parole occorre che gli adulti sappiano mettere via lo smartphone davanti ai giovani e che riescano a proporre loro possibilità di attività alternative, anche autonome e autostrutturate”, conclude Costarelli.
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