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Stop alle bocciature nella scuola secondaria? Può essere un’idea, ma ci vuole una riforma di sistema

Le esternazioni di Giorgia Meloni, che invoca l’eliminazione delle bocciature nella scuola secondaria, stanno facendo discutere, segno che la leader di Fratelli d’Italia ha toccato un tema importante.
Abbiamo raccolto il punto di vista di alcuni esperti molto noti nel mondo della scuola.

Secondo Stefano Stefanel, dirigente scolastico del Liceo “Marinelli” di Udine “l’idea di base è corretta, ma nell’attuale organizzazione scolastica inapplicabile in quanto porterebbe solo a promuovere alla classe successiva o a diplomare anche studenti con enormi lacune, non frequentanti o con situazioni scolastiche molto negative”.
“Il principio – aggiunge il dirigente – è giusto: che senso ha ripetere un anno scolastico anche nelle materie in cui l’andamento è positivo?”
“La soluzione c’è –
spiega Stefanel – e potrebbe consistere nel prendere a modello il VET System (Vocational, Educational & Training) che caratterizza l’istruzione tecnica e professionale di gran parte d’Europa e che alla base ha la scelta dello studente, che diventa autonomo e impara a selezionare i propri perorsi scolastici”.
Conclude il dirigente di Udine: “Sono d’accordo sul fatto che i diplomi dovrebbero contenere le competenze acquisite così come i livelli disciplinari. Ma per fare questo deve cadere il valore legale del titolo di studio in modo da eliminare i diplomifici e l’uniformità dei diplomi ottenuti con risultati didattici e formativi differenti”.

Mario Maviglia, già dirigente tecnico e provveditore agli studi a Brescia, solleva questioni pedagogiche importanti: “La valutazione nella scuola superiore ha storicamente assunto una funzione classificatoria che si è spesso trasformata in discriminatoria. Di fatto in questo grado scolastico la sua valenza formativa è poco conosciuta e quindi non si pone come regolativa del processo di insegnamento-apprendimento. Più che monitorare e sostenere gli studenti nei loro percorsi di apprendimento, la valutazione produce un meccanismo perverso per cui si studia per superare le prove di verifica”.
Cosa fare allora per correggere questa stortura?
L’eliminazione dei voti – afferma Maviglia – potrebbe mettere in crisi questo modello, ma se non si agisce, nel contempo, nella messa in atto di una didattica attiva che veda l’effettivo coinvolgimento degli studenti nel loro processo di apprendimento l’operazione rischia di diventare una sorta di maquillage che lascia inalterati i problemi di cui ho detto”.

Aluisi Tosolini, preside del liceo Bertolucci di Parma, parte dalla sua esperienza e racconta: “Molte nostre scuole lavorano con diversi paesi europei dove la bocciatura non esiste: quando vengono in visita da noi restano basiti dalla nostra organizzazione scolastica e dalla sua rigidità. Sono sostanzialmente e pedagogicamente d’accordo con l’idea della eliminazione e superamento della bocciatura ma sono anche consapevole che questo debba obbligatoriamente comportare una diversa strutturazione della scuola italiana che metta davvero al centro lo studente, i suoi interessi, i suoi percorsi di crescita e di sviluppo. E poi i tempi e gli spazi della organizzazione scolastica”.
Ma cosa osta a questa “rivoluzione”?
“Sono quasi certo – risponde Tosolini – che la prima obiezioni all’eliminazione della bocciatura sarà mossa da chi teme di vedere diminuire gli organici: senza bocciature molte scuole superiori perderebbero ogni anno molte classi. E ciò non sarà facilmente accettato da chi ha come primo obiettivo la creazione di posti di lavoro per docenti”.

“Per me – sostiene invece Raffaele Iosa, ex ispettore scolastico – bisognerebbe fare una scelta radicale: laurea in scienze della formazione di 5 anni, con gli ultimi due di scelta del tipo di scuola. Bisogna smetterla con un sistema che consente a chi è laureato in legge di fare, seppure come precario, l’insegnante di sostegno”.
“Dal punto di vista della “architettura” del sistema – spiega Iosa – io penso a una scuola di base di 10 anni, 5 di primaria e 5 di “media” o come la si voglia chiamare, ma con insegnanti con potente preparazione pedagogica e didattica, più da “maestri” che da professori; voglio dire meno disciplinare e più attenta allo sviluppo dei ragazzi e delle ragazze. E poi tre anni di scuola secondaria flessibile, senza bocciature, ma fortemente articolata per laboratori. Ma mi rendo conto che è un sogno, del tutto irrealizzabile”.

Reginaldo Palermo

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