Che il ministro Valditara abbia introdotto dall’alto il divieto dell’uso del cellulare a scuola è più che condivisibile; nella mia scuola, l’Istituto Comprensivo “E. Fermi” di Rimini il divieto era già disciplinato dal Regolamento Scolastico approvato, rivisto e adeguato, dal Consiglio d’Istituto.
Penso che i telefoni cellulari dovrebbero rimanere a casa. Non servono alla didattica; le scuole sono dotate di pc, tablet, aule d’informatica. Parola di PNRR.
A dire il vero ciò che oggi manca sono certi laboratori, come il laboratorio di arte, dove mettere in atto la manualità, quella che i ragazzi stanno perdendo.
Per me la scuola è quel luogo dove molti insegnanti costruiscono, lavorando tra le pieghe della burocrazia, navigando nel caos delle possibilità, tentando nuove rotte. Per che cosa? Per vivere quella che la mia amica Sara definisce la scuola che vorremmo.
E’ così che si possono raccontare esperienze come Le nostre strade, le nostre storie, dove i ragazzi di due classi terze hanno accettato di mettersi alla prova, eccedendo tutte le nostre aspettative. Eroi.
Eroi. Eroe non si nasce, ma si può scegliere di esserlo, accettando quelle sfide condivise che fanno crescere. Non è il risultato a definire la capacità eroica, si può anche fallire (anzi, si fallirà probabilmente), ma basta l’esperienza di superare le proprie resistenze, e accettare il viaggio, per diventare più grandi.
I ragazzi di terza media della scuola dove insegno, hanno accettato di intraprendere questo viaggio, di non restare fermi a riva, di provare ad essere eroi e lo hanno fatto salpando dalla mostra “Strade e storie. Paesaggi da Hokusai a Hiroshige” allestita presso il Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo.
Dopo la visita guidata alla mostra e approfondimenti svolti in aula sulla cultura giapponese e sul componimento haiku, siamo andati nel “Giardino dei Semplici”, l’hortus conclusus di Bagnacavallo.
Nel silenzio abbiamo recuperato l’intimità con il nostro essere più profondo, nascosto, forse poco ascoltato se non dimenticato. Sparsi nel giardino, isolati ma non soli, ci siamo regalati il tempo perché arrivassero le parole, poche, essenziali, per esprimere il nostro particolare punto di vista attraverso pennellate di emozioni. Ciascuno ha pennellato sé, la sua emozione, il suo punto di vista su una realtà semplice, quella di un giardino. L’interruzione del trambusto ha lasciato che si creasse quel vuoto necessario al vedere, al sentire; così ci siamo messi in attesa. Tutti. Ciascuno.
È bastato aspettare, perché tutto accadesse. Così, sparsi in un Eden contemporaneo, isolati ma non soli, dimentichi dei cellulari, i giovani poeti hanno sorpreso le parole che pian piano sono sgorgate nel e dal silenzio; le hanno fissate, nero su bianco, per poi dirle, senza timore.
Noi adulti abbiamo detto le nostre. Haiku.
Non è stato difficile mantenere il silenzio, l’attesa, l’attenzione. Anzi. Tutto è giunto con naturalezza, come rispondendo a un’attesa recondita.
A Rimini, dopo qualche giorno, abbiamo acquerellato, su cartoline bianche, dettagli della città, paesaggi, monumenti; sul retro l’haiku composto per lo specifico scorcio.
Anche le cartoline hanno fatto il loro viaggio, spedite al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo.
Il 21 marzo 2024, in occasione della Giornata mondiale della poesia, lo stesso Museo ha dedicato, sui canali social 1 , due post al lavoro di questi giovani Hiroshige: “…grazie di cuore ai ragazzi per la condivisione di qualcosa di unico, che rimane nel cassetto dei ricordi anche a mostra finita”.
Si possono raccontare storie; si possono pubblicare storie su Instagram o su Tik Tok: i ragazzi sono sempre stessi. Ciò che cambia è la misura eroica.
Simonetta Santucci
Insegnante di Arte e Immagine, IC Fermi, Rimini
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