Quanti bambini e bambine figli di immigrati popolano le nostre classi, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria superiore? Tantissimi ormai. Certo, non come in Francia, in Germania o in Inghilterra – Paesi di più antica immigrazione – ma anche qui da noi in Italia il numero è in netta crescita. Di alcuni conosciamo le storie e i dolori, di altri no. Di sicuro non conosceremo mai le storie delle migliaia di uomini, donne e bambini che giacciono per sempre, chissà dove, in fondo al Mediterraneo. Spesso rimangono numeri, buoni solo per le statistiche.
Ci ha pensato Giuseppe Catozzella, con il suo romanzo Non dirmi che hai paura, che presentiamo questa settimana nella nostra rubrica Leggere lib(e)ri, a ricordarci che erano soprattutto nomi, cognomi, volti di persone che avevano sogni, desideri, progetti da realizzare.
Una passione travolgente che sfida la morte
Non dirmi che hai paura, premio Strega giovani nel 2014, narra proprio la storia, vera, di una di queste persone disperse in mare, nel vano tentativo di realizzare il suo sogno di sempre, correre e vincere alle Olimpiadi. È la storia di Saamiya Yusuf Omar, una bambina somala, di Mogadiscio, poverissima ma abitata, posseduta, da una grande passione, correre. Con una grinta, un trasporto, una determinazione fuori dal comune, Saamiya riesce a farsi notare dal Comitato Olimpico somalo e, corsa dopo corsa, nel 2008 ottiene il visto per le tanto agognate Olimpiadi di Pechino. Arriva ultima, non può competere con le grandi atlete giamaicane, canadesi, francesi. Lei, la piccola somala senza allenatore, senza scarpette adeguate, che si ciba di riso e verdure, quando ci sono.
A un certo punto Saamiya non ce la più e decide di tentare il grande viaggio, destinazione Europa, per potersi preparare al meglio alle Olimpiadi di Londra 2012. E lì comincia l’inferno dei trafficanti di uomini, l’incubo del deserto, delle privazioni, della promiscuità, la Libia, i barconi.
Prendere posizione, sempre
“Non scegliere è immorale” ci ha ricordato il Presidente del Consiglio Draghi, in occasione delle celebrazioni del 25 aprile. Ecco perché questo libro emozionante e doloroso, appassionante e amaro, da bere d’un fiato, è una bella lettura dalla quale i nostri alunni potranno trarre tanti spunti di riflessione. Potranno, soprattutto, imparare che prendere posizione è un dovere di cittadinanza. Potranno, infine, dare forma, spessore, sostanza a una materia – l’immigrazione – che spesso rimane ai margini della nostra esperienza lasciandoci indifferenti, un tema tra i tanti che affollano ogni giorno i notiziari.