L’ennesima strage in una scuola del Texas sta ponendo non solo agli americani la domanda che stanno gridando un po’ tutti: come porre fine a questa violenza?
È solo per il vincolo del secondo emendamento, comprese le lobby, che non riesce a mettere un freno alla presenza diffusa delle armi? Perché resta vero che ci sono, da quelle parti, più armi che cittadini, come ha commentato qualcuno.
La vera domanda, dunque, rimanda a come prevenire, al di là delle norme, queste tragedie.
Ce lo ripetiamo sempre: la vera prevenzione richiama il compito dell’educazione civile, rimanda cioè allo sfondo educativo, che è figlio di un impasto culturale che va equilibrato, se si vuole una convivenza pacifica.
Perché non è vero che, come si espresse Sartre, “l’inferno sono gli altri”.
Gli altri non sono l’inferno, cioè non limitano il nostro “spazio vitale”, ma sono l’altra parte di noi stessi, sono noi stessi. Per il vincolo della socialità, che è anzitutto reciprocità.
E con gli altri, vicini e lontani, nostri fratelli e sorelle, sul piano biologico ma anche sociale, vanno costruite e rinnovate ogni giorno relazioni significative, fondate sulla ricerca di ciò che unisce, e non di ciò che divide.
Siamo biologicamente dunque interdipendenti, ma anche socialmente interdipendenti.
Come valorizzare questo sentimento in comune, quello che forma e si fa comunità? Tra le altre parole chiare, mi viene da suggerirne due di vecchie, ma sempre nuove.
Parlo della mitezza e della gentilezza come sunto di uno stile di vita di rispetto e di cura reciproca. E quando c’è cura, c’è anche l’antidoto per la ricerca della sicurezza. Per capire bene questo concetto rimando al latino “sine-cura”, per cui il cuore di una reciproca sicurezza è la cura delle relazioni ai vari livelli.
Quando cioè c’è cura reciproca la sicurezza è garantita, fatte salve le procedure di legittima difesa. Nella scuola coinvolta in questa nuova strage di bambini e insegnanti, sono le procedure di sicurezza che vanno garantite e migliorate.
Ma a livello sociale generale, la cura delle relazioni deve avere sempre il primato. Con scelte non solo formali, ovviamente, ma sostanziali. Il valore del rispetto si può coniugare anche con i termini mitezza e gentilezza. Due facce della stessa medaglia.
Atteggiamenti che dicono di una costante prevenzione di quella aggressività che sembra un dato di natura, in realtà forme di paura e di angoscia rispetto ai frammenti che la vita propone ogni giorno. Cioè modalità di reazione e di pensiero negativo.
L’istinto alla conflittualità va invece governata ed educata, e non subita. Mi vengono qui in mente i corsi sulla gentilezza proposti, per i bambini della scuola elementare, da Angelica Montagna, presentati ieri alle scuole del bassanese.
Con un gioco di ruoli, i bambini sono messi nella condizione di apprendere il rispetto reciproco anche nei modi, e non solo come puri concetti.
Ma questi corsi solo per bambini? O non è un modo indiretto, cioè gentile, per educare ed educarci come adulti? Tutti lo dobbiamo ammettere, ma il senso della misura, fatto di uno stile aperto e coinvolgente, non è una prassi consolidata. Che è come dire: invochiamo tutti dialogo e pace, eppure lo facciamo in modo nervoso, se non aggressivo, se non violento, anche se solo a parole.
Basta dare un’occhiata ai social o a certe trasmissioni televisive. Lo sappiamo, il metodo della libertà, cuore di una democrazia, non è mai facile, perché richiede la ricerca in comune del bene di tutti. Ma la fatica della democrazia, rispetto al decisionismo delle autocrazie, oggi di moda in alcuni settori sociali, deve essere difesa come un valore aggiunto, sempre.
Poi, lo sappiamo, la democrazia non è solo metodo, ma è anche merito e sostanza di scelte che poi ricadono su tutti. Il comportamento mite e gentile dice, dunque, un prendersi cura gli uni degli altri.
Spetta solo alla scuola, oggi unico luogo universale di incontro di bambini e ragazzi, questa educazione? Oppure, giusto ribadirlo, spetta comunque anzitutto alle famiglie, e poi a tutte le realtà sociali? Perché queste sottolineature sono rivolte anche a noi adulti, chiamati ad essere segno concreto di autorevolezza per i nostri bambini, ragazzi, giovani.
Oggi c’è estremo bisogno di adulti autorevoli, non autoritari. In tutti gli ambienti.
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