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Stranieri, quel tetto del 30% a volte dimenticato…

Ricordate il tetto di alunni stranieri del 30 per cento voluto tutti i costi un paio d’anno fa dal ministro Gelmini per evitare istituti, soprattutto della primaria, stracolmi di bambini di origine non italiana e con una sparuta presenza di iscritti del posto? Se ne è discusso a lungo; anche il mondo della politica si è spaccato, con il Centro-Destra capitanato dalla Lega, a favore del provvedimento, e tutto il Centro-Sinistra, in particolare alcuni parlamentari del Partito Democratico, fortemente contrario. Anche l’Unione Europea, visto che la presenza di alunni stranieri non è tipica del nostro Paese, si è posta il problema valutando seriamente quanto possa essere prima di tutto lecito ma anche proficuo introdurre dei “tetti” scolastici alla presenza di alunni stranieri. 
A Roma e Milano, proprio per eseguire quanto previsto dalla nuova norma, sono state smantellate due delle scuole simbolo dell’integrazione scolastica multietnica: rispettivamente la Carlo Pisacane e la Lombardo Radice. Ora si scopre che proprio in una delle aree dove il Carroccio ha più adepti, il Triveneto, in particolare la provincia di Vicenza, quel limite massimo in alcune scuole non è mai stato preso in considerazione. I dati numerici riguardante il nuovo anno scolastico, al via tra un mese, parlano chiaro: alle materne di Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza, una classe ha raggiunto il 100 per cento di alunni stranieri, alla primaria il 70,83 per cento. 
La denuncia è stata fatta direttamente dal sindaco, ovviamente leghista, Milena Cecchetto che ha anche avanzato alcune proposte alla Regione e alla dirigenza scolastica. Il caso del comune dell’alto vicentino non è però isolato: alla scuola primaria Zanella di Alte Ceccato, la media di alunni stranieri iscritti al primo anno è del 62,8 per cento; alle scuole di infanzia si arriva al 95,65 per cento della 1A della scuola Andersen e al 100% della 1B della Piaget. Si tratta di territori, del resto, popolatissimi di cittadini stranieri: quasi tutti regolari e con contratti di lavoro. Che pagano le tasse e hanno tirato su famiglia. Ora, si può negare l’istruzione ai loro figli? Oppure comunicargli che vicino la lora casa non c’è posto (anche se poi c’è) e quindi per andare a scuola devono prendere il pullman già a tre o sei anni? Ci sembrano interrogativi che non meritino alcuna risposta.

Alessandro Giuliani

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