I lettori ci scrivono

Stress da lavoro correlato, un problema serio per molti docenti

Sono un docente di ruolo, con oltre 30 anni di servizio, ho 60 anni, e scrivo per porre il problema del nostro pensionamento che non vorrei pensare a 67 anni, o addirittura oltre. 
Attualmente nell’elenco dei lavori gravosi troviamo, per quanto concerne il mondo scuola, solo le“maestre di asilo nido/scuola dell’infanzia”. E gli altri docenti? Forse lo stress di un docente di scuola secondaria di primo o secondo grado è inferiore a quello dei docenti di scuola dell’infanzia? Esistono docenti di serie A e docenti di serie B?
Sicuramente, dal punto di vista fisico, può ritenersi più gravoso gestire ad esempio una classe di bambini di 2 anni da quella di ragazzi di 11 anni ma lo stress di cui parliamo noi e di cui noi docenti rivendicano il riconoscimento nulla ha a che fare con il semplice stress fisico.

Molti medici che da anni studiano lo stress da lavoro correlato degli insegnanti, hanno affermato più volte che l’usura psicofisica determinata dalla professione docente non risparmia nessuno e può manifestarsi a differenti età a seconda della propria anamnesi familiare, dei cosiddetti“life event”(separazioni, malattie, lutti, dispiaceri, circostanze particolari etc), delle situazioni fisiologiche contingenti (es. post-partum, menopausa), della propria resilienza, delle abitudini di vita (hobbies, dieta sana, attività fisica o fumo, caffè, alcool) e della strategia di adattamento per contrastare lo stress quali, su tutte, la condivisione del disagio con colleghi e amici.
Nonosante i dati denuncino come, tra i docenti dichiarati non idonei all’insegnamento a causa della propria salute, l’80% presenta diagnosi psichiatriche e gravi disturbi per lo più di tipo ansioso-depressivo, a tutt’oggi, alla nostra categoria di lavoratori non è ancora riconosciuta ufficialmente il burnout come malattia professionale.

Pochi sanno che l’alta usura psicofisica degli insegnanti è data soprattutto dalla particolare tipologia di rapporto con l’utenza (asimmetrico, intergenerazionale, minoritario, costante per più ore al giorno, nove mesi l’anno, per cicli di tre o cinque anni con la medesima utenza).

Quotidianamente, varcata la porta della propria classe, il docente si trova di fronte studenti che lo fissano, lo analizzano, che mettono alla prova sia la propria competenza disciplinare, sia quella relazionale, sia la propria persona in toto: una sorta di scanner quotidiano. Aggiungiamoci pure che il rapporto scuola /famiglia non è più quello di una volta: genitori sempre pronti a difendere i figli e contemporaneamente a giudicare e ad attaccare i docenti sia verbalmente che, nei casi più estremi, anche fisicamente. E poi, lo stipendio nettamente inferiore rispetto agli altri paesi europei, la mancanza di riconoscimento a livello sociale, lo stress per le quotidiane responsabilità, la mancanza di sostegno da parte di chi, invece, dovrebbe motivarli.

Detto ciò è evidente che la professione del docente, sia nelle scuole primarie che secondarie, genera burnout, cioè quella sindrome da esaurimento professionale, che colpisce, in modo particolare, i lavoratori dei paesi occidentalizzati a stretto contatto con nuove tecnologie e persone e che ingenera ansia, depressione, rabbia.

Per i docenti, quindi, dovrebbe essere riconosciuta quale malattia professionale che affligge il mondo della scuola, perché sono sottoposti a ritmi di lavoro stressanti che generano condizioni di malessere e di disagio. Ad aggravare la situazione di insofferenza dei docenti, in particolare, sono diversi fattori legati al fenomeno delle classi pollaio, all’irrequietezza degli alunni, alla maleducazione imperante, alla frustrazione di non sentirsi considerati dalla società.

Non mi sembra difficile da comprendere una tale situazione lavorativa ma allora, mi chiedo, cosa manca? Come mai il parlamento non legifera in tal senso? Come mai i sindacati tutti non operano per far riconoscere l’insegnamento a tutti i livelli come lavoro usurante?

Spero che tutti, nessuno escluso, si rendano conto di questa situazione e finalmente ci permettano di andare in pensione non alla soglia dei 70 anni ma molto prima

Giampiero Piccini

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