Lo stress correlato al lavoro è una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui possano dopo un’esposizione prolungata ad una pressione intensa, non sentirsi più in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro.
Il termine burnout, letteralmente “esaurito”, indica la sindrome da stress lavorativo cronico per cui l’individuo vive in una condizione di esaurimento fisico ed emozionale e tende a mostrare un atteggiamento distaccato e apatico nei confronti del lavoro e delle persone.
Gli insegnanti sono tra le categorie più a rischio burnout: classi numerose, aule ristrette, organizzazione scolastica, mancanza di attrezzature didattiche, assenza di collaborazione dei colleghi, “mobbing”, conflittualità con le famiglie, mancanza di relazioni adeguate con gli alunni…espongono i docenti a carichi eccessivi di stress.
Ad oggi, la crescente emancipazione dell’argomento, preso sempre più in considerazione ed oggetto anche di numerose ricerche scientifiche e studi di valenza nazionale ed internazionale, rileva che questo è un disagio sociale sempre più diffuso. E nonostante i singoli insegnanti presentino diverse reazioni di adattamento, le cosiddette coping strategies, che in una visione ottimistica, vogliono far fronte a questa situazione stressante, il fenomeno non sembra arginarsi, anzi sembra mutare ad ogni stagione “scolastica” diventando più forte e complesso.
Al burnout, non ancora riconosciuto ufficialmente in termini di malattia professionale, prevenzione e indennizzo, oggi si somma lo stress da Covid-19 che si materializza nella scuola l’acronimo di “dad”, che sta per didattica a distanza.
La dad purtroppo non è per tutti, spesso acutizza le differenze, le diversità, le disabilità, non è inclusiva. E questo i docenti l’hanno capito quasi subito. Nasce e si rafforza un senso di inadeguatezza latente che spinge o all’interno di una competizione oppure sfocia in profonda frustrazione e sconforto. Alcuni dirigenti scolastici non riescono a considerare che in questo momento la priorità non è solo ed esclusivamente la didattica. Le famiglie non comprendono che i figli, per aver successo nella vita non devono completare il programma, ma devono imparare a studiare, a ragionare, a confrontarsi, ad assimilare strategie utili per la vita. Ed invece, neanche in questa emergenza si è migliorato l’ascolto ed il supporto al docente, ma anzi, la sua solitudine lavorativa è sovraccaricata dal peso emotivo, in particolare dell’adolescenza, senza per questo essere adeguatamente supportato o formato. E la situazione è ancora più delicata se si pensa al fatto che ora, ci sono le famiglie, ci sono i genitori dietro ai pc insieme ai figli. In un certo senso è violata la privacy del docente, la sacrosanta libertà di insegnamento, la fiducia nell’opera dell’educatore che in quel momento invece ha i riflettori puntati contro (questa la sensazione riportata da una prof.ssa di una scuola superiore di I grado)
In questa complessa emergenza covid-19, indipendentemente dall’età, non è sempre facile farsi portatori di ottimismo. I docenti sono alle prese con gli stati d’animo dei propri studenti ed anche loro. Bisogna sicuramente mantenere la relazione con e per i ragazzi, ma è davvero un compito gravoso a livello psicologico, bisogna avere un buon self control, una buona gestione delle proprie competenze emotive. Purtroppo c’è pochissima formazione per i docenti relativamente alla gestione delle emozioni. Decisamente nulla poi, la formazione circa la gestione delle relazioni con le famiglie. E adesso le famiglie non sono più solo fuori l’aula, ma dentro!?
E le famiglie degli stessi docenti? I loro figli? La condizione di genitore-docente è tra le categorie più sovraccaricate da questo smart working, che in particolare per i più piccoli, tanto smart poi non è. In particolare le donne, adempiono a tutte le incombenze in modalità multitasking…altro che stare a casa in relax!
I docenti dunque stanno “incassando” da più fronti. Il loro lavoro è in evoluzione: dalla routine della presenza si è letteralmente schizzati in una modalità “altamente dinamica, pervasiva ed esplosiva”.
Tuttavia, questa situazione è davvero senza soluzione? Cosa si può fare? E come farlo? C’è qualche strategia che si potrebbe imparare magari anche con l’aiuto di un esperto?
Avendo chiaro il presupposto per cui questa non rappresenta solo un’emergenza didattica ma in cui gravano vissuti emotivi e di forte stress del carico lavorativo, sarebbe il caso che oggi la scuola predisponga la figura dello Psicologo scolastico, in grado di fornire una risposta, ora on-line e successivamente in una delle stanze della scuola, in termini di competenze in ambito di prevenzione e promozione del benessere.
Ad oggi, pochissime fortunate scuole possono avvalersi della competenza dello psicologo scolastico.
Quali sono gli aspetti su cui è possibile agire? Domanda a cui rispondo avendo in mente soluzioni realistiche che sono non solo raggiungibili da un professionista operante nel contesto, ma soprattutto non riducendo questo agire ad una serie di “prescrizioni miracolose” che chiunque può attuare dopo questa lettura. Riflettiamo…
Valorizzare le “transizioni”: sto lavorando – non sto lavorando!
Gli insegnanti hanno la terribile tendenza ad essere sempre “all’opera”,anche durante i momenti di pausa, dopo le lezioni, o nel weekend. Non si riesce a guardare un programma in tv o a leggere un giornale senza pensare: “potrebbero essere delle buone idee per una lezione”? Tutto questo amore per il proprio lavoro sembrerebbe lodevole, ma tuttavia nocivo, perchè una persona che non riesce a prendersi il proprio tempo, il proprio spazio, non è veramente in grado di darne agli altri. All’inizio sarà faticoso, ma bisogna obbligarsi a staccare la spina, in questo modo si apprezzerà il proprio lavoro molto di più.
Sentirsi nel proprio spazio-tempo
Un aspetto legato al tempo dedicato al lavoro (e forse anche ai confini tra spazio lavorativo e personale) è la dilatazione delle varie azioni lavorative nel tempo e nello spazio, cioè: confrontarsi con colleghi magari telefonicamente, riportare l’attenzione sullo schermo del pc, leggere un sms via cellulare, ricevere repentine e-mail che inducono al cambio di finestra, rispondere magari ad un componente familiare… Ecco un insegnante in modalità multitasking alle prese con la dad, deve necessariamente ad un certo punto, rallentare. Come? Intanto rallentando la velocità di alcune risposte, ad esempio predisponendo degli orari in cui “ricevere” telefonate, in cui rispondere a delle email, in cui poter leggere/correggere i compiti e via dicendo.
Dare dei limiti alle proprie azioni in modo da ricordare a se stessi di sentirsi nel proprio tempo.
Vissuti di competenza-frustrazione
Impariamo ad essere più consapevoli. Di cosa? Di come ci si sente adesso in classe (on-line), come prima e invece al di fuori. Più lo si fa e più ci si rende conto dello stress, dell’irritazione e della frustrazione (in modo da essere capace di gestirli) e, allo stesso tempo, si nota l’emergere dell’entusiasmo nell’arrivo di una buona idea per la gestione di questa strana “dad”. Imparare dunque qualcosa di nuovo. Aggiornarsi e far crescere le proprie abilità e conoscenze può dare nuova energia all’insegnamento. Approfittiamo in maniera costruttiva del dover “restare a casa”.
Prendere nota dei progressi
Riflettere sulle proprie esperienze d’insegnamento passate verso la nuova modalità (da solo o in compagnia dei colleghi).
Condivisione delle competenze e degli insuccessi sperimentati
Con-dividere le esperienze e i vissuti, può solo dar beneficio. Usare la propria esperienza per aiutare gli altri può essere incredibilmente motivante e vedere l’entusiasmo dei colleghi può dare impulso al proprio lavoro.
Imparare a conoscere meglio gli studenti
Una delle criticità della dad è il fatto di non aver “il colpo d’occhio” della classe. A “distanza” alcuni alunni possono iniziare a confondersi nella nostra mente. Accantoniamo per un attimo senza sensi di colpa il programma a beneficio delle relazioni. Equilibriamo il passaggio dei contenuti, quindi la didattica, alla conoscenza dei ragazzi più informale. Sforziamoci di conoscere di più i nostri studenti, ascoltiamoli con più attenzione, ponendo più domande.
Adottare nuove prospettive
Cogliere l’opportunità di conoscere più a fondo il processo di insegnamento e di apprendimento con dei chiari obiettivi formativi: cosa non conosco dell’insegnamento? Quali sono le figure con cui potrei collaborare?
Non lasciare che la perfezione diventi nemica
Nessuno può elaborare regolarmente e quotidianamente in questa situazione straordinaria lezioni perfette e, se si mira a questo, il rischio è quello di sentirsi demotivato e disilluso non appena ci si accorge che il proprio è un obiettivo impossibile da raggiungere. Inoltre, la perfetta riuscita di una lezione non è nemmeno interamente responsabilità dell’insegnante, specie in questo momento in cui gli attori sono numerosi e dinamici (docenti, alunni, famiglie, ds). Sicuramente il ruolo del docente è molto importante per il suo successo o insuccesso, ma lo è anche quello del resto delle persone presenti “in aula”.
Resilienza ed empatia
Sentiamo sempre più spesso queste due parole che sembrano riempire solo a pronunciarle. Di cosa? Di umanità, di emotività (colonna sonora della nostra vita), di buonsenso, adattamento, di modi che sono solo nostri ma che ci possano permettere di adempiere con serenità al nostro lavoro, sperimentando se stessi e con noi stessi gli studenti senza troppi pre-giudizi. Stiamo scrivendo la storia scolastica e non solo.
Ecco, questi punti, ma potrebbero essercene anche di altri, vogliono solo essere spunti su cui riflettere per aiutarsi, un primo passo verso la consapevolezza del proprio stato di benessere o malessere, capire se si è in una condizione di stress, del livello di carico mentale e fisico. Perchè nonostante la leggerezza con cui ho voluto trattare l’argomento, qui si parla di salute, salute mentale, troppo spesso sottovalutata.
L’approccio a una situazione di “burnout” presunto o consapevole, prevede sicuramente un’azione a livello individuale, facendo ricorso a un supporto specialistico in primis di tipo psicologico che possa sostenere il soggetto nel suo percorso di analisi e poi riabilitativo; tuttavia, anche la stessa organizzazione scolastica ha la responsabilità di predisporre un servizio psicologico scolastico capace di intercettare con azioni di prevenzione e monitoraggio dello stress lavoro-correlato, con l’obiettivo di sostenere la categoria degli insegnanti dall’inizio alla fine della loro carriera.
Melania Oliviero
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