Dal 31/12/2010 è entrato in vigore l’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato.
Tale obbligo è stato introdotto esplicitamente nell’art. 28 del D. Lgs. 81/08, nel quale si prevede che il datore di lavoro valuti tutti i rischi “[…] tra i quali anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo del 8/10/2004”.
Da questa legge discende l’obbligo di salvaguardare la salute psico-fisica dei docenti.
Ma fino ad oggi la problematica dello SLC è stata blandamente affrontata: pochi medici ne conoscono gli effetti e la gravità e pochi dirigenti scolastici hanno affrontato seriamente il problema.
Il burnout rappresenta, purtroppo, una realtà visibile e tangibile della scuola italiana per cui il lavoro dell’insegnante, dall’infanzia alla scuola secondaria superiore di secondo grado, è un lavoro che logora, pesante, impegnativo, che produce notevole stress psicofisico in quanto sottopone i docenti ad un continuo stato di tensione, per via di comportamenti ed azioni scorretti e dalla mancanza di considerazione sociale che alunni e famiglia hanno verso la categoria docente.
È da anni che il prof. Vittorio Lodolo D’Oria (e lo ha ribadito recentemente con viva forza sulla base dei dati scientificamente provati) afferma che la professione docente è usurante e che il burnout deve essere riconosciuto quale malattia professionale che affligge il mondo della scuola perché i docenti sono sottoposti a ritmi di lavoro stressanti che generano condizioni di malessere e di disagio.
Secondo il professore, a tutti i docenti deve essere riconosciuto per legge il collocamento a riposo anticipato perché non è pensabile che un insegnante possa reggere i ritmi fino a quasi settant’anni!
Ad aggravare la situazione di insofferenza degli insegnanti sono diversi fattori legati al fenomeno delle classi pollaio, all’irrequietezza degli alunni, alla maleducazione o meglio ineducazione imperante, alla frustrazione di non sentirsi considerati dalla società creano condizioni difficili per cui andare avanti è veramente difficile.
Considerato lo status quo della scuola italiana, psicologi e medici, sulla base degli studi scientifici condotti a livello internazionale, hanno invitato la politica italiana a riconoscere l’insegnamento quale professione usurante. Sì proprio così, perché col tempo la professione di insegnante diventerà un mestiere da “trincea”, stritolati com’è da un sistema che non funziona e da una classe politica sorda e miope che si rifiuta di ascoltare il grido di dolore dei docenti che chiedono a gran voce un’inversione di rotta e di essere quantomeno supportati nel loro lavoro quotidiano in classe da figure professionali specializzate.
Com’è possibile pensare che un insegnante, che è stato per quarant’anni dietro una cattedra, possa continuare a starci con una generazione di adolescenti che non rispetta le regole della convivenza civile ed è continuamente proiettata nell’era digitale?
È una cosa aberrante alla quale va posto, in tutti i modi possibili, rimedio da subito. Un docente per stare dietro una cattedra oggi deve avere diverse doti: forza, coraggio, pazienza e soprattutto tanta salute! I docenti sono, invece, sottoposti quotidianamente ad uno stress psicofisico considerevole e di questo ne risente non solo il sistema nervoso, ma anche gli altri organi vitali. Ecco perché spesso le cronache ci parlano di malattie professionali, includendo in questa casistica l’incidenza sempre maggiore di forme tumorali maligne e di altre patologie che colpiscono organi del corpo umano.
Il burnout sta crescendo progressivamente e molti docenti ne vengono colpiti, in conseguenza del fatto che sono sottoposti a sollecitazioni continue e logoranti. Non è più il caso di soprassedere e di darsi una mossa perché la professione docente del XXI secolo è usurante.
Mario Bocola