E’ la triste vicenda a lieto fine raccontata dal quotidiano locale on-line l’Adige.it nell’articolo di Paola Malcotti. Lo scenario è l’amena cittadina di Arco (TN) sull’alto lago di Garda, e la storia è quella di una mamma tenace che si è battuta con le unghie e con i denti per riuscire ad essere ascoltata dopo una dura battaglia durata molti mesi e combattuta a suon di incontri e scontri con docenti e dirigenti.
Tutto è iniziato un paio di anni fa – racconta la signora – con l’iscrizione di mio figlio ad un istituto superiore della zona e la presentazione dei documenti relativi alla sua dislessia, redatti da una neuropsichiatra ancora durante gli anni della scuola media, che riportavano quanto i docenti avrebbero dovuto fare per permettergli di stare al passo dei compagni.
Secondo alcuni professori però il ragazzo non presentava i sintomi specifici del disturbo e le difficoltà nell’apprendimento erano dovute piuttosto a scarsa applicazione. Nonostante il duro impegno nello studio, a scuola e a casa, e sebbene la dislessia fosse stata ampiamente certificata dalla professionista, a mio figlio non venivano messi a disposizione gli strumenti previsti dal “Pep” (Piano educativo personalizzato nel quale sono riportate le misure da adottare in caso di difficoltà, ndr.), necessari per permettergli di ottenere una giusta gratificazione per il lavoro svolto, esser stimolato a proseguire negli studi, aiutato a costruirsi un futuro.
Dopo la bocciatura del primo anno, iniziai ad affiancarlo nella preparazione delle verifiche e nel normale svolgimento dei compiti a casa, facendomi di nuovo avanti con gli insegnanti e la preside, e tornando a sottolineare i suoi problemi. Ancora una volta però mi trovai di fronte a un muro: ma ho solo ricevuto risposte di sufficienza e scarsa disponibilità ad affrontare la dislessia. La goccia che fece traboccare il vaso arrivò al termine dell’anno scolastico, lo scorso giugno, quando con arroganza mi vennero comunicate le lacune di mio figlio, con l’invito a cambiare scuola ed attivarci per fargli ottenere un “Pei” (Piano educativo individualizzato, per studenti affetti da sindrome di Down).
Da qui la decisione di rivolgermi direttamente al Dipartimento della conoscenza a Trento. Purtroppo anche al palazzo dell’istruzione ci siamo trovati di fronte a tiepide giustificazioni: non rimaneva che il mondo della politica. Tramite Serena e Daniela, che ringrazio, siamo stati accolti dal consigliere Luca Giuliani, che dopo aver ascoltato e verificato la nostra storia ha preso a cuore il caso smuovendo un po’ le acque, e dal presidente Ugo Rossi, che si è interessato del nostro problema.
Il risultato? Mio figlio non ha cambiato scuola – conclude la mamma – e non abbiamo chiesto il “Pei”, come ci era stato indicato. Frequenta ancora l’istituto in cui l’avevo iscritto due anni fa, dove ora c’è un nuovo preside, persona sensibile e intelligente, così come un nuovo gruppo insegnanti, nel quale spicca in particolar modo la professoressa di italiano, di cuore e giusta. Ora veniamo ascoltati, mio figlio è finalmente aiutato a gettare le basi per il suo futuro.
Ecco perché vorrei fare un appello a quei genitori di studenti dislessici che stanno vivendo il nostro stesso calvario: non abbiate paura, fatevi avanti senza timore (rivolgendovi anche allo sportello dell’Aid di Arco). Grazie alla sensibilità di dirigenti e docenti la battaglia contro il disinteresse di chi a scuola considera vostro figlio solo un numero può essere vinta. Noi ce l’abbiamo fatta.
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