Lo scorso 27 maggio un giovanissimo studente dislessico ha vinto il premio letterario “Una città che scrive” a Casalbuono, in provincia di Napoli, sotto l’Alto Patrocinio del Parlamento europeo.
A raccontare la storia è la madre del ragazzino, che su Donna Moderna ripercorre le difficoltà iniziali di affrontare la patologia del figlio, ma anche di come, purtroppo, la scuola frequentata non sia stata all’altezza della situazione.
“Mio figlio ha iniziato il suo percorso scolastico manifestando sintomi di non allineamento agli standard di apprendimento dei bambini che entrano alle elementari, scrive la donna: grande difficoltà di lettura, pagine costellate di correzioni a penna rossa, grafia quasi illeggibile, materiali tenuti in maniera indecorosa. Il tutto aggravato da un’ansia e un’irrequietezza che non gli consentivano di stare seduto composto e fermo e che lo portavano ad intervenire sempre a sproposito, oltre che ovviamente a distrarsi con estrema facilità. Ma Michelangelo possedeva una capacità espressiva, un eloquio e un’intelligenza che non consentiva di bollarlo come bambino poco sveglio”.
La donna nella sua lettera accusa apertamente le maestre del figlio, colpevoli di non avere approfondito le difficoltà dell’alunno: “maestre sempre più colpevolizzanti lo avevano da subito etichettato apertamente davanti a tutti i compagni come svogliato, viziato, maleducato e lo inducevano a pensare che non avrebbe mai fatto niente di buono se non si fosse dato una grande regolata”.
I genitori del bambino hanno invece voluto comprendere i problemi del figlio, portandolo in un centro privato specializzato che ha individuato la diagnosi: Dislessia ma anche disgrafia, disortografia e disturbo attentivo.
“A scuola hanno preparato un PDP (piano di studio personalizzato) ma nei fatti non è cambiato niente, continua la madre. Fino al termine del primo ciclo di studi ci siamo battuti per far capire che non andavano messe le note, non andavano corretti tutti gli errori di ortografia (per ovvie questioni di autostima), non andava punito togliendogli l’intervallo, non andava isolato da solo al primo banco o obbligato a sedersi durante i pasti solo in mezzo alle compagne di sesso femminile con temperamento quieto”.
Michelangelo, l’alunno in questione, adesso frequenta le scuole medie ed è lì, dopo aver frequentato un corso di scrittura creativa, che ha prodotto una poesia che ha suscitato l’emozione e l’interesse della madre, che ha deciso di iscriverlo al concorso #STORIEDICARTA, indetto da Comieco. Poi il successo alla premiazione di Casalbuono, dove il ragazzino è salito sul palco a ritirare il premio.
La storia, oltre a raccontare un episodio di grande riscatto, mette in risalto la difficoltà della scuola italiana a riconoscere e seguire gli alunni che hanno bisogni speciali: “siamo stati resilienti io e il mio bambino, abbiamo comunque resistito e continuiamo a farlo giorno dopo giorno perché, anche se alle medie le cose vanno meglio, in Italia oggi non c’è ancora una cultura davvero inclusiva e non si valorizza la diversità”.
Certamente non si può fare di tutta l’erba un fascio: esistono molte scuole attente ai bisogni speciali degli alunni e insegnanti preparati che riescono a seguire i loro studenti.
Ma la strada per fare la differenza, per far diventare regola quello che dovrebbe esserlo ma ancora non lo è, c’è ed è tanta.
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