Sul caso dell’alunno di una scuola della Calabria che si trova in classe da solo perché tutti i suoi compagni stanno casa per protesta delle famiglie che lo considerano troppo “vivace” parliamo con Raffaele Iosa, ex dirigente tecnico, noto esperto di problemi dell’inclusione.
Allora, ispettore, cosa ne pensa?
Il caso del bambino di otto anni di Rende “scioperato” dai nuovi compagni di classe appartiene ad una categoria di situazioni che conosco da sempre, fin dagli anni 70 e che come ispettore ho seguito innumerevoli volte.
E’ una casistica in aumento negli anni e che accade sempre nella scuola primaria e raramente anche nella scuola dell’infanzia.
Lei vuol dire che il caso di Rende ripete uno schema consolidato?
Proprio così.
Ovviamente io parlo in linea generale, perché non conosco direttamente quel caso, ma posso dire che il meccanismo di base di questi eventi ha questi aspetti ripetitivi nella scuola primaria: un bambino particolarmente “vivace” con diverse forme di aggressività, una famiglia che “idolatra” il figlio e lo “giustifica” dei suoi comportamenti (spesso partendo da una sua presunta “genialità”). Spesso è presente un difficile rapporto con i servizi socio-sanitari (spesso rifiutati), la presenza di maestre deboli e insicure, portate a reagire male e maldestramente alle forme aggressive del bambino, e dunque (anche se involontariamente) iatrogene. La domanda di “certificazione” secondo la legge 104/92 è un classico escamotage non sempre accettato dalla famiglia. Questa domanda di sostegno nasconde una richiesta di “copertura delegante” più che di “cura educativa”.
E poi in questi casi c’è anche da “gestire” i rapporti con le altre famiglie
Quasi sempre accade che le famiglie degli altri bambini sopportano per un po’, ma poi esplode la sofferenza. Se la scuola e i servizi territoriali non sanno trovare soluzioni operative (e se la famiglia non accetta alcun intervento) la cosa si allarga e quando si arriva allo “sciopero contro il bambino” uscirne è molto difficile e drammatico, servono professionalità di “alta mediazione”.
E allora che si fa?
Diciamo cosa non si dovrebbe fare; per esempio non bisogna pensare di risolvere il “caso” con il trasferimento del bambino ad un’altra classe, magari nello stesso istituto. La “leggenda del mostro” corre veloce e si amplifica di corridoio in corridoio. Dunque, se si dovesse ritenere opportuno un cambio classe questo dovrebbe essere preparato con estrema cura. E non mi pare, per quello che ho letto, il caso di cui parliamo qui.
Il racconto del caso di Rende ha come fonte unica la madre, avvocato, e la sua reazione che la porta a scrivere all’universo mondo, dalla scuola alla magistratura, ai quotidiani, soprattutto che diventi un “fatto pubblico”. Sappiamo quindi solo la sua versione, che contiene numerosi aspetti di quel “quadro generale” che ho descritto prima.
Questo caso, oltretutto è esploso molto rapidamente…
Infatti, in pochi giorni tutti rispondono con velocità, dal Ministro al Garante dell’infanzia regionale, fino ai carabinieri. Tutto in due-tre giorni. Questa velocità della risposta sorprende e non butta a favore di una soluzione mediativa nell’interesse di quel bambino e degli altri bambini purtroppo coinvolti dai loro genitori nello sciopero.
Secondo lei nel caso di Rende si può ancora fare qualcosa?
Purtroppo, da quando leggiamo, sembra che la frattura sia troppo grave e gridata; e così si rischia di “cercare il colpevole” e non la soluzione nell’interesse di tutti bambini. Questo non vuol dire che non si possano fare ancora cose utili. La prima è capire meglio tutta la storia e sentire tutte le voci. Nel caso di Rende la mamma-avvocato arriva perfino a denunciare il ruolo di alcune maestre come “promotrici” dello sciopero. Prevedo quindi il rischio-polverone e l’aumento della conflittualità, a tutto danno dei bambini.
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