Sarebbero 100 le persone responsabili dei diversi episodi di avvelenamento, tramite inalazione di gas tossico a scuola, delle studentesse, avvenuti in Iran a partire da novembre in varie scuole del Paese per far chiudere gli istituti femminili e impedire loro l’istruzione: le studentesse, si parla di circa 5 mila casi, erano state avvelenate in alcuni dormitori loro dedicati a Teheran, Isfahan, Orumiyeh, Tabriz, Karaj e Mashhad. Adesso, l’annuncio che i presunti autori sono stati arrestati e accusati anche da Teheran di avere legami con gruppi “ostili”.
Gli arresti arrivano dopo che nelle scorse settimane molte famiglie delle studentesse hanno inscenato proteste davanti all’ufficio del governatore a Qom per chiedere di fare luce sulla vicenda e garantire la sicurezza delle loro figlie: i casi però sono proseguiti.
Il procuratore generale nei giorni scorsi ha ordinato un’indagine giudiziaria sugli incidenti e il viceministro della salute ha confermato che gli avvelenamenti delle bimbe erano stati deliberati.
Secondo quanto riporta l’Ansa, i colpevoli farebbero parte di due categorie differenti e avevano obiettivi diversi.
“Alcune di queste persone – ha spiegato il ministero dell’Interno iraniano – miravano a far chiudere le scuole usando sostanze sostanzialmente innocue. Altri sono veri e propri criminali, che avevano un obiettivo ostile: chiudere le scuole e diffondere il pessimismo contro il sistema, creando paura tra il personale e gli studenti”.
Questi ultimi sono sospettati di appartenere a organizzazioni di “terroristi dissidenti”, collegati in particolare ai Mujahedin del popolo dell’Iran o Mujahedeen-e-Khalq, un gruppo di opposizione iraniana in esilio con sede in Albania che Teheran considera un’organizzazione “terrorista”.
C’è però anche chi, tra gli attivisti, ritiene che le intossicazioni siano una vendetta da parte del governo a causa della partecipazione di molte studentesse alle manifestazioni anti governative e contro l’hijab obbligatorio esplose in settembre dopo la morte di Mahsa Amini, la 22enne di origine curda che ha perso la vita mentre era in custodia a Teheran perché non portava il velo in modo corretto.
Non tutti, inoltre, concordano sulla versione fornita dal governo iraniano: secondo un’analisi fatta dall’agenzia di stampa statunitense The Media Line (Tml), specializzata nel Medio oriente, l’ondata di avvelenamenti è stata compiuta, se non per conto del governo di Teheran, per lo meno con la sua complicità.
L’annuncio dei 100 arresti, sempre secondo queste fonti, sarebbe quindi quello di distrarre l’opinione pubblica dalle proteste contro il regime, che continuano sia nelle piazze che sui social.
È dell’11 marzo il video postato dalla giornalista iraniana Masih Alinejad in cui una ragazza col volto oscurato balla davanti alla prigione di Evin ‘in supporto delle ragazze iraniane minacciate”. Secondo Tml attribuire la colpa degli avvelenamenti a “un pugno di estremisti talebani” aiuta il governo iraniano a identificare un nemico che le autorità possono combattere, “esonerando così il sistema islamico nel suo complesso”.
A proposito di diritti umani, il regime degli Ayatollah continua a scricchiolare. Non ci sono solo le proteste e le uccisioni spesso sommarie segnalate da molte organizzazioni che difendono i diritti umani.
Il 12 marzo la Corte Suprema iraniana ha confermato la pena di morte per il dissidente iraniano-svedese Habib Farajollah Chaab, rapito due anni fa da agenti di Teheran in un aeroporto turco. L’accusa nei suoi confronti è di “corruzione in terra” per la formazione, la gestione e la guida del gruppo ribelle chiamato Harakat al-Nidal e per aver progettato ed eseguito numerose operazioni terroristiche nella provincia del Khuzestan. In particolare la Corte iraniana lo accusa di essere l’organizzatore dell’attentato del 2018 durante una parata militare ad Ahvaz, in cui morirono 25 persone e altre 250 furono ferite.
Durante un programma televisivo iraniano, Chaab aveva confessato di essere un agente dei servizi sauditi e si era dichiarato responsabile dell’attentato: non sarebbe la prima volta che l’Iran estorce una confessione. Il governo svedese, attraverso il ministro degli esteri Tobias Billstrom, ha condannato gravemente il fatto, sostenendo che la scelta di Teheran è “disumana” e affermando di voler fare ulteriore chiarezza sulla questione.
Dopo gli avvelenamenti delle studentesse, in Iran studenti universitari e insegnanti sono scesi in piazza per protestare contro questo ulteriore modo per intimorire le donne ad andare a scuole e istruirsi.
Le proteste, che si sono verificate in diverse città iraniane e in 25 delle 31 province iraniane, erano dirette dunque contro il misterioso avvelenamento da gas delle studentesse: video diffusi sui social hanno mostrato le forze dell’ordine che arrestano, picchiano e sparano gas lacrimogeni contro i manifestanti.
A loro volta, si legge nelle agenzie, i manifestanti hanno gridato: “Libertà di vita e di donna”, “una scuola non è un campo di battaglia” e “abbasso il sistema che uccide i bambini”.
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