I lettori ci scrivono

Studentesse modello, perché a volte le trascuriamo quando forse sono le più “difficili” dei nostri tempi?

Ce n’è una quasi in ogni classe, ormai: e quasi sempre femmina. Forse perché il mito della perfezione, fine ultimo a cui purtroppo tende la vita di molti, si alimenta generalmente di aspirazioni femminili. Ma comunque, maschi o femmine, questi alunni li riconosciamo subito: corretti, educati, sempre aggiornati sulla vita scolastica, svolgono compiti perfetti a casa e a scuola; puoi dar loro qualunque incombenza e l’assolveranno nel migliore dei modi. E naturalmente, inutile dirlo, hanno  un curriculum con il massimo dei voti.

Ammettiamolo, di questi alunni modello noi professori spesso ci dimentichiamo: o meglio, diamo talmente per scontata la loro performance che in molte circostanze non li coinvolgiamo nemmeno più. Li interroghiamo solo quando vogliamo consolarci di una giornata pessima in cui tutti quelli che abbiamo chiamato hanno fatto scena muta o hanno dato risposte penose, e allora ci solleviamo il morale ascoltando l’alunna perfetta là, silenziosa e attenta nel suo banco, che ci dirà alla perfezione tutto ciò che volevamo sentire (compreso ciò che noi stessi abbiamo detto nelle ultime lezioni e di cui a quella ragazza nulla è sfuggito).

Peccato, però, che presi dalle ambasce quotidiane del nostro lavoro, queste alunne modello non le osserviamo mai attentamente: talvolta hanno un aspetto insignificante e poco curato, non sono per nulla interessate ad apparire, né ad esercitare fascino sui loro compagni maschi; nelle pause ricreative spesso si isolano, sembrano snobbare la compagnia dei loro coetanei o comunque non si integrano volutamente in giochi e schiamazzi.  Altre volte, al contrario, sono bellissime e perfette, senza una ciglia o un capello fuori posto, ansiose di apparire sempre à la page sia nell’aspetto fisico che nell’iter scolastico; e se, nella prima tipologia di alunne, il disagio di cui soffrono si percepisce abbastanza facilmente, in questi ultimi casi è mascherato talvolta così bene che ce ne accorgiamo troppo tardi.

Sono le alunne che si sono incamminate su una delle strade più pericolose dei nostri tempi, quello della perfezione in ogni campo: perfetta nello studio, perfetta (e soprattutto magra) nella forma fisica, perfetta in ogni evento della vita esteriore. Ogni piccola deviazione da questa strada, tesa al raggiungimento dell’optimum, diventa un crollo di autostima, una sconfitta bruciante, una crisi di inadeguatezza. Per noi docenti sarebbe dunque necessario ricordarsi, quando predisponiamo PDP e compiliamo  griglie varie di rilevazione, che tra gli alunni problematici ci sono anche e soprattutto questi casi.  

Come e quanto la scuola riesce ad intervenire in queste dinamiche adolescenziali così delicate? Nell’ingranaggio istituzionale da cui noi docenti siamo travolti giornalmente sembra non esserci spazio per l’osservazione di un disagio così grave e dilagante: nello sforzo teso ad integrare tutti gli alunni “difficili” – da quelli svantaggiati  sul piano socio-culturale a quelli stranieri, dalle vittime ai carnefici del bullismo, dai DSA ai BES  e via dicendo –  trascuriamo queste studentesse modello che sono invece le più “difficili” dei nostri tempi. Per loro infatti il campanello d’allarme suona più prepotente che per altri, ma noi ci dimentichiamo di osservare i larghi maglioni scuri di queste ragazze, sotto ai quali si nascondono volutamente corpi che stanno diventando sempre più magri e cibi che non vengono consumati.  Quando si corre ai ripari, unendo il cerchio scuola-famiglia-psicologi, quel meccanismo malefico si è già innescato e il mondo dell’anoressia è a un passo.

Come fare prevenzione? Nel mondo della scuola questa è forse una delle domande più difficili a cui rispondere: di norma, infatti, ci si concentra sulle dinamiche familiari, dove si tende a ricercare l’origine di questo disagio. Carenze affettive? Genitori troppo assenti o, al contrario troppo presenti, che caricano i figli di aspettative da non deludere? O ancora, come molto spesso registriamo noi docenti, senso di inferiorità nei confronti di fratelli o sorelle maggiori , la cui indiscussa bravura diventa un modello  irraggiungibile?  

Nel panorama così variegato delle criticità e dei disagi che  oggi riempiono ogni aula scolastica sorge spontaneo chiedersi, però, se la sorgente maligna di questa patologia sia sempre e solo la famiglia; la quale, beninteso, giocherà sempre il ruolo maestro nel bene e nel male ( nessuno meglio dei docenti, conosce bene l’equazione alunno=prodotto della famiglia in cui vive). Ma occorre forse interrogarsi sulla società che ci circonda e sui messaggi ch’essa lancia alle generazioni di giovanissimi, ricordandosi che contro la distorsione di tali messaggi solo l’azione compatta e congiunta di scuola e famiglia può ottenere risultati concreti.

Nella tendenza, forse un po’ troppo dilagante,a psicanalizzare tutto, siamo oggi portati a ricercare in ogni comportamento degli adolescenti una specie di anamnesi familiare:  dimentichiamo però di vivere in una società in cui l’obiettivo della perfezione minaccia ogni sfera della nostra esistenza, preparando soprattutto ai teen-agers una strada lastricata di emulazione, di modelli esteriori – urlati sui social a suon di grancassa – che non lasciano il posto ad alcuna pur minima deviazione. Primo dovere della scuola, dunque, per scardinare nelle giovanissime l’obiettivo del “bella a tutti i costi” ma anche del “brava a tutti i costi”, è insegnare fondamentalmente due cose:  che la perfezione non è di questo mondo; e che l’omologazione con gli altri –  che siano il fratello maggiore laureato a pieni voti, o la compagna di classe che ha preso dieci in una verifica, o la meravigliosa modella che lancia sui social le nuove tendenze della moda  – non genera la felicità. Al contrario, sarà soltanto l’autenticità e l’originalità di ognuno di noi a produrre il benessere e la ricchezza del mondo.

Una strada difficile – come tutte quelle imposte dal mondo della scuola – da percorrere contro vento e in salita; partendo ancora una volta dalla valorizzazione di ogni singolo individuo, di tutte le potenzialità che ognuno di noi dimostra nella vita e costruendo con gli alunni  una scala di priorità : dove il primo scalino – e non l’ultimo in alto – è quello banale e scontato dell’esteriorità pura, su cui non vale la pena sostare.

Nadia Ubaldi

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