Didattica

Studenti “bamboccioni” se stanno sempre a casa coi genitori, Pagliai (Indire): certe soft skills s’acquisiscono solo andando all’estero

Spirito di iniziativa, autonomia, autostima, fiducia in sé stessi, capacità di adattamento, resistenza allo stress, resilienza: sono le cosiddette soft skills, abilità legate all’intelligenza emotiva che tutti abbiamo dentro, ma che non sempre riusciamo a tirare fuori. Per farle emergere cosa c’è di meglio che fare un percorso di studi all’estero aderendo ad Erasmus? A spiegare i motivi per cui vale la pena aderire al rinnovato progetto di mobilità in Europa è Sara Pagliai, coordinatrice del programma Erasmus Indire. “Quando si esce dalla propria zona di comfort – dice alla ‘Tecnica della Scuola’ – chiaramente si mettono in gioco altre abilità, ad iniziare dalla concretezza: spesso sono risorse proprie, ma alle quali non era mai pensato. Si acquisiscono competenze di carattere interculturale, perché si incontrano altri ragazzi della propria età cresciuti in contesti diversi. Si dà la possibilità di avviare lo spirito di iniziativa”.

A margine della presentazione del Rapporto Indire su Erasmus+, svolta a Roma il 6 febbraio nella sala Capitolare del Senato, Pagliai ha spiegato che “la partecipazione italiana al programma coinvolge il settore dell’Istruzione superiore ovvero l’Università e dell’Alta formazione artistica e musicale. Ma Erasmus ormai abbraccia pure altri ambiti, come quello della Formazione professionale oppure dello Sport e in generale del mondo della scuola: è qui che stanno arrivando i grandi cambiamenti, soprattutto rispetto alla vecchia programmazione. Molte opportunità sono oggi date alle scuole italiane, si forniscono delle occasioni per fare evolvere gli alunni di ogni ordine e grado; si dà la possibilità di realizzare viaggi brevi, di qualche giorno, ma anche per lo scambio di classe e soprattutto di praticare anche la mobilità più lunga, grazie a questa sorta di ‘fratello di maggiore età’ dove vengono accolti i ragazzi che si recano in un paese straniero”.

Da dove prende il via l’esperienza all’estero degli studenti?

Prima di tutto è buona prassi che le scuole abbiano dei buoni rapporti con gli istituti di alcuni Paesi all’estero, così da rendere praticabile lo scambio e la mobilità in generale. Nella maggioranza dei casi si tratta dei ragazzi che partono e sono ospitati presso le famiglie: poi, durante il giorno, partecipano alla vita scolastica di un comprensorio. Ma andare all’estero non è solo andare e frequentare le lezioni: è questa la grande opportunità offerta dal nuovo programma Erasmus Plus.

Andare all’estero non è quindi solo imparare la lingua?

Ovviamente no, viene da sé che quando si esce dalla propria zona di comfort chiaramente si mettono in gioco altre abilità, ad iniziare dalla concretezza. Spesso sono risorse proprie, ma alle quali non era mai pensato. Si acquisiscono competenze di carattere interculturale, perché si incontrano altri ragazzi della propria età cresciuti in contesti diversi. Si incentiva lo sviluppo delle cosiddette soft skills, si dà davvero la possibilità di avviare lo spirito di iniziativa, che è una delle competenze che maggiormente vengono riconosciute. Aspetti che quando si è a casa non si sviluppano, semplicemente perché ci pensano i genitori. Anche per questo vale la pena partire.

Non è un’esperienza costosa, lo conferma?

Sì, perché l’agenzia nazionale finanzia molta della mobilità e quindi chiaramente tutti i finanziamenti europei sono poi dei confezionamenti: quindi, è buona prassi che la scuola oppure l’Università, i governi, o in alcuni casi i governi nazionali o regionali, si adoperino in qualche modo, a loro volta, perchè si partecipi.

Possono partire ragazzi di quale età?

Non c’è nessun limite di età per la partecipazione ai programmi Erasmus: in teoria, possono partire anche bambini molto piccoli. In pratica, non ci sono limiti per quanto riguarda l’istruzione scolastica.

Gli insegnanti sembrano sempre più interessati all’Erasmus.

È un numero anche questo crescente: ogni anno oltre 10.000 docenti vanno in mobilità. Poi, molti partecipano alla community etwinning con numeri che vanno oltre i 100 mila docenti. Direi che ci sono tante opportunità, ma anche tanta partecipazione.

Un docente che va all’estero acquisisce competenze di carattere didattico?

Sì, esatto. Partecipare all’Erasmus non significa solo fare dei corsi di lingua, perché altrimenti, ad esempio, tutti i docenti di lingua sarebbero tagliati fuori. Soprattutto, si va all’estero per acquisire competenze didattiche, una delle opportunità migliori è il cosiddetto job shadowing, ovvero la possibilità di fare un periodo di osservazione in un’altra scuola e quindi capire come funziona l’insegnamento in un altro luogo, ma anche per condividere la propria esperienza. Perché non c’è solo da imparare, ma c’è anche da condividere perché gli altri imparino. E anche questo è Erasmus.

Alessandro Giuliani

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