Il caso della famiglia dello studente condannata a risarcire il professore che alcuni anni fa era stato “bullizzato” in classe è davvero da manuale.
La vicenda viene ricordata oggi in un articolo di Repubblica ricco di particolari interessanti.
A distanza di più di cinque anni dagli eventi, il tribunale civile di Sondrio ha infatti condannato la famiglia a risarcire il professore pagando una somma di 14.500 euro oltre quelle relative alle spese legali.
Probabilmente fra il professore e lo studente i rapporti non erano mai stati particolarmente distesi ma ad un certo punto ci fu un episodio particolarmente grave che convinse il docente a presentare una denuncia formale: irritato a causa di un brutto voto riportato in un compito, lo studente insultò pesantemente il professore davanti alla classe buttandogli anche in faccia i fogli del compito.
Un compagno riprese il tutto con il proprio telefono e il video venne pubblicato anche sui social.
Il caso finì in tribunale che in questi giorni si è pronunciato.
La sentenza farà certamente scuola perché fa riferimento al principio della cosiddetta “culpa in educando” che grava sui genitori in relazione al comportamento dei figli.
Repubblica riporta un passaggio interessante della sentenza: “I criteri in base ai quali va imputata ai genitori la responsabilità per gli atti illeciti compiuti dai figli minori – compresi quelli prossimi alla maggiore età – consistono sia nel potere dovere di esercitare la vigilanza sul comportamento dei figli stessi e sia, anche e soprattutto, nell’obbligo di svolgere adeguata attività formativa, impartendo loro l’educazione al rispetto delle regole della civile coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività extra familiari”.
A partire da questo caso è possibile fare alcune considerazioni utili per tutti.
La “culpa in educando” è quella forma di responsabilità che grava sui genitori per fatti illeciti commessi dai figli, così come quella “in vigilando” riguarda il docente che non “controlla” in modo adeguato i comportamenti dei propri alunni.
Si tratta di una forma di responsabilità che può persino annullare una ipotetica mancanza di vigilanza da parte del docente, soprattutto in relazione all’età dello studente.
Si può infatti presumere che i comportamenti illeciti di un ragazzo di 15-16 anni siano legati più alla scarsa “educazione” familiare che alla scarsa vigilanza da parte della scuola.
Se due studenti di 16 si azzuffano in classe e uno dei due riporta dei danni perché l’insegnante non riesce a separarli è anche probabile che ci si trovi di fronte ad un caso che ha a che fare con la culpa in educando. Non è detto, insomma, che la culpa in vigilando sia l’unica forma di responsabilità da prendere in considerazione.
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