Un lavoratore italiano su tre svolge una professione non in linea con gli studi superiori svolti e solo la metà dei diplomati, il 50%, va all’Università. E pochissimi seguono studio post-secondari o terziari alternativi ai corsi di laurea.
A snocciolare i poco entusiasmanti numeri, è stata la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, durante un convegno sull’università del 10 novembre.
La ministra ha ricordato, citando un documento Ocse (Getting skills right) che “il 35% degli occupati (più di un italiano che lavora su 3, in Germania è 1 su 5, in Svizzera 1 su 8) svolge un lavoro che non ha alcuna relazione con il proprio percorso di studi“. Sul perchè si svolga un lavoro diverso dagli studi, però ancora non si comprende del tutto.
Inoltre, “in Italia a fronte di un 21% di occupati sotto-qualificati e di un 6% privo delle competenze adeguate all’occupazione svolta, vi è un 18% di occupati sovra-qualificati e un 12% di personale provvisto di competenze superiori a quelle necessarie per la propria occupazione”.
La ministra ha quindi sottolineato che l’Italia “ha un tasso di passaggio dal livello di istruzione secondario all’Università di circa il 50%: sono stati 232.321 su 462.472 i diplomati nel 2016 che si sono iscritti all’Università a fronte del 70% della Francia”.
Eppure, l’Italia è nella lista dei paesi con il maggior numero di Neet, giovani tra i 20 e i 24 anni che non studiano, non lavorano e non sono inseriti in corsi di formazione (sono il 33,85% del gruppo di età di riferimento mentre in Germania sono il 9,27%, il 20,9% in Francia, il 27,2% in Spagna e il 15,64% nel Regno Unito).
“Sono soprattutto i giovani diplomati negli istituti tecnici e professionali – ha detto ancora la ministra – a non iscriversi ad un livello terziario, non potendo contare, ancora, su un’offerta di percorsi di studi professionalizzante, adeguata al loro profilo ed alle loro aspettative”.
La titolare del Miur, ha quindi ricordato che gli studenti iscritti all’Università non i riescono sempre a terminare il percorso avviato. “Ciò risulta particolarmente evidente dagli abbandoni tra il primo e il secondo anno di studi universitari: nell’anno accademico 2016-2017 32.194 studenti hanno lasciato gli studi, circa l’11% degli immatricolati. Particolarmente sfavoriti – ha osservato – sono gli studenti diplomati agli istituti professionali, per i quali l’abbandono è al 25,1% (pari a 3.844 studenti), seguiti dai tecnici con il 21% (pari a 12.544 studenti) e dai licei con il 6,9% (pari a 12.937 studenti) “.
Con questi numeri, quindi, ha continuato Fedeli, occorre “lavorare la nuova politica di orientamento su cui stiamo investendo in maniera significativa”.
Anche perché “del rimanente 49,7% dei diplomati che non prosegue con studi universitari, la maggior parte cerca di entrare nel mondo del lavoro, mentre solamente in minima parte continua con percorsi di studio post-secondari o terziari alternativi all’Università come l’Alta Formazione Artistica e Musicale, Its e Scuole superiori per Mediatori linguistici”.
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