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Studenti e genitori in piazza contro le nuove limitazioni all’educazione: succede in Iran

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L’educazione libera e senza confini nell’ex-Persia risulta oramai vincolata alle norme ed ai precetti islamici propri della nuova Repubblica figlia della Rivoluzione del 1979, tra contraddizioni ed affinità con le scritture base di fede. Le limitazioni imposte alle studentesse ed al corpo docenti di sesso femminile sono note da anni, ma i recenti eventi, che comprendono rapimenti, rivolte sedate nel sangue ed una scia di pericolosi avvelenamenti a danno di adolescenti e non solo ha destato prima sospetto e successivamente l’allarme delle Organizzazioni Internazionali, le quali temono un grave impatto sul diritto allo studio nel paese, dato che quest’ultimo ha aderito alla Carta dei Diritti del Fanciullo ed avanzato promesse egualitarie in merito alla didattica offerta a ragazzi e ragazzi ed eguale trattamento per il corpo docente indipendentemente dal sesso dell’insegnante. I recenti avvelenamenti, specie nell’area circostante Tabriz (seconda città per popolazione del Paese) a maggioranza azera ha provocato, oltre che l’incredulità di famiglie sconvolte, una ferma reazione dei cittadini iraniani e della Comunità Internazionale. Le prime, oramai da ieri, si stanno concretizzando in vere e proprie manifestazioni di piazza dinanzi alle sedi delle autorità locali, intrattenute da docenti e studenti; inevitabile qualche ferito e le cariche della polizia iraniana atta a disperdere i manifestanti nelle aree in cui questi hanno provocato difficili congestioni del traffico stradale ed impatto sugli eventuali soccorsi.

Avvelenamenti, proteste, dimostrazioni: sistema scolastico in sofferenza

La polizia antisommossa nell’Iran centrale sabato ha cercato di disperdere una grande folla di persone con gas lacrimogeni e fucili che protestavano contro gli attacchi di gas contro le studentesse. Genitori e studenti che si sono riuniti spontaneamente fuori dal dipartimento dell’istruzione di Shahin-Shahr, vicino a Esfahan sabato mattina, hanno presto iniziato a intonare slogan antigovernativi. “Non vogliamo un governo che uccida i bambini”, cantavano. Secondo Hosseinali Haji-Deligani, rappresentante del distretto in parlamento, dodici scuole sono state attaccate da folle di 175.000 manifestanti l’11 aprile scorso. I video pubblicati sui social media mostrano anche persone che invocano espressioni come “Abbasso il dittatore” e “Abbasso i responsabili degli avvelenamenti” e un membro delle forze di sicurezza che li minaccia attraverso un altoparlante. Alcune delle donne che protestavano a Shahin-Shahr, come mostrano i video, hanno partecipato alla manifestazione inaugurata sfidando i nuovi tentativi del governo di ristabilire le rigide regole dell’hijab a livello locale, dichiarandosi non disposte. Decine di scuole sono state prese di mira da soggetti non identificate che utilizzano sostanze chimiche in varie città del paese, tra cui Esfahan, Tabriz, Shahin-Shahr, Genaveh, Kermanshah, Oshnavieh, Kamyaran, Ardabil, Sanandaj, Orumieh, Karaj e Pardis a sud della capitale dalla riapertura delle scuole e decine di ragazze sono state ricoverate per presunti avvelenamenti.

Attacco alla scuola ed alla libera educazione

La portata dell’avvelenamento intenzionale di studentesse delle scuole primarie e secondarie – che è iniziata nella città religiosa di Qom – e ha raggiunto le scuole di città e villaggi grandi e piccoli in tutto il paese è diventata quasi un evento quotidiano, ma i genitori profondamente preoccupati stanno ancora indagando a livello personale per incontrare le autorità e rinvenire gli autori. Funzionari e media statali hanno continuamente cercato di minimizzare la gravità degli incidenti e questa settimana la stampa è stata avvertita dal Ministero dell’Orientamento Islamico di non dare spazio alle notizie sugli avvelenamenti e persino di ignorare “fonti inaffidabili tra cui alcune autorità della provincia che potrebbero non essere informate a sufficienza” per evitare “gravi danni al Paese”. Nel frattempo, ieri la polizia ha ufficialmente iniziato a utilizzare le registrazioni video delle telecamere a circuito chiuso e il software di riconoscimento delle immagini per identificare e perseguire le donne che sfidano il rigido codice di abbigliamento islamico e le regole dell’hijab nel tentativo di porre fine alla sempre crescente comparsa di donne “senza hijab” in pubblico. Molti esprimono indignazione per il fatto che le telecamere di sorveglianza possano essere utilizzate per rintracciare le donne che non indossano l’hijab, mentre il governo non è riuscito a identificare i vigilantes che attaccano le scuole provocando i tanto discussi avvelenamenti.