Nelle classi ci sono troppi casi di dislessia non riconosciuta, perchè latente o poco visibile: né come disturbo né, soprattutto, come diversità cognitiva. Ma sono presenti anche diversi disturbi di apprendimento con cui gli insegnanti convivono, senza potere adottare alcuna misura (dispensativa, compensativa o alternativa) perché i casi non sono stati accertati né tantomeno certificati. E soprattutto perché manca una cultura adeguata.
Inoltre, quando la scuola si muove, la macchina organizzativa che porta al riconoscimento della diagnosi è davvero troppo lenta. A sostenerlo, auspicando “una rivoluzione culturale che li tratti (i disturbi o limiti di apprendimento ndr) non come malattie ma come diversità cognitive”, è Giacomo Stella, direttore scientifico della rete “Sos dislessia”, promotore a Torino di un convegno nazionale sul tema specifico.
In Italia, è stato ricordato, la dislessia riguarda dal 2 al 5% dei ragazzi mentre il 10% ha disagi cognitivi di varia natura.
“In materia di dislessia e altri disturbi di apprendimento – ha detto Stella – l’Italia non solo non è indietro rispetto al resto dell’Europa, ma al contrario, con la legge sulla dislessia del 2010 che conferisce alla scuola la competenza per il potenziamento dell’abilità scolastica, e il coinvolgimento dei ministeri in molti progetti, è tra i più avanti. Manca però ancora una nuova cultura dell’apprendimento e dell’accettazione delle diversità tra le persone”.
“Il problema – ha aggiunto il direttore – è rappresentato dal fatto che la scuola è troppo nozionistica, non intercetta la creatività e i diversi tipi di intelligenza cognitiva dei ragazzi”.
Secondo Stella, quindi, “occorre una rivoluzione culturale che riconosca la dislessia e gli altri disturbi, non come malattie, ma come diversità cognitive”.
Per avvalorare la tesi, sono stati invitati a testimoniare alcuni dislessici diventati uomini di successo, proprio per la loro creatività: Lapo Elkann, Marco Boglione, patron di Basicnet, l’attore Francesco Riva, il fumettista Emanuel Simeoni.
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