Attualità

Studenti in piazza per semplificare esami già semplici

Niente seconda prova scritta, colloquio orale basato sulla tesina prodotta dal candidato, più spazio al percorso degli studenti: questo ciò che hanno chiesto gli studenti nel corso della manifestazione di oggi, 4 febbraio, accusando pure il Ministro di decidere lo svolgimento degli esami di stato senza sentirli in modo da patteggiare tutta la materia. Secondo loro infatti questa decisione, delle due prove scritte, la seconda delle quali elaborata dalla commissione tutta interna, “non tiene conto di due anni di pandemia, di una didattica che continua ad essere fortemente discontinua, normalizzando così una situazione che di normale non ha nulla”. In altre parole, gli studenti vogliono che l’esame si svolga così come è stato l’anno scorso, considerato pure che sulla loro pelle si sono visti passare gli ultimi due anni con la Dad e con “disservizi” culturali.

E se per un verso gli studenti possono pure avere ragione, ci assale nello stesso tempo il sospetto che l’anno venturo, sempre di questi tempi e sempre se venissero riesumate le prove come prima della pandemia, (commissione esterna per metà, due scritti a carattere nazionale e orale su tutte le discipline) succederebbe la stessa cosa: manifestazioni e slogan, per varare il più recente esame (tesina e colloquio), anche perché c’è sempre qualcosa da rimproverare e qualcosa da recriminare al Ministero al fine di semplificare le prove e uscire definitivamente dalla scuola nel modo più indolore possibile e soprattutto senza rischi, seppure ormai inesistenti.  

Tuttavia crediamo che queste richieste, al ribasso e mai al rialzo (chissà perchè?), sembrano innescare un paradosso. 

Infatti, fino a prima del 1968 gli esami di Stato comprendevano tutte le prove scritte e tutti gli orali e con tutti commissari esterni. Lo stesso diploma riportava al tergo tutti i voti. Esame dunque molto selettivo, duro e pesante. Eppure all’epoca, dalla fine della Seconda guerra a tutti gli anni Sessanta, gli studenti erano pochi e poche le scuole e dunque, come avviene nelle ricerche di mercato, non si sarebbe dovuto selezionare in modo così severo, allo stesso modo di come si fa quando la richiesta è debole: debole la domanda larghe le maglie per attirare l’offerta di istruzione. Si sarebbe dovuto agevolare insomma i più riottosi a frequentare le scuole, largheggiando. 

Oggi invece, e qui sta secondo noi il paradosso, che abbiamo bisogno di cittadini molto preparati e con le scuole che traboccano di studenti, molti dei quali vengono solo per sbarcare il lunario e con la protezione familiare senza più permalosa, e che dunque andrebbero con molto rigore giudicati,  vagliati e selezionati, si svende la cultura al ribasso: ammessi agli esami al 99%, promossi quasi al 100%, con un voto unico spesso altissimo e con commissioni miste a cui si aggiunge tutto ciò di cui più sopra abbiamo scritto.

È vero che si è passati da una istruzione di élite a una di massa, ma ciò non toglie il principio di cui più sopra: più alta è la richiesta più alti diventano i prezzi. 

Stando invece così le cose, tanto vale allora abolire del tutto gli esami di stato, trovare un escamotage per rendere legale il titolo di studio (o abolirne il valore legale) e lasciare che poi sia la vita e la società a selezionare, anche perché, da qualunque angolazione la si voglia vedere, senza una istruzione di altissimo livello, col terzo millennio agguerrito e con le concorrenze che pressano da fuori, difficilmente si potrà andare molto lontano.

Una prova? La classe politica attuale: nelle emergenze si chiamano i tecnici a togliere dagli impicci.  E anche questa è una scelta che si può continuare a perpetrare.

Pasquale Almirante

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