A distanza di tre settimane dal G20 dei ministri dell’Istruzione di Catania, la Sicilia è la prima Regione italiana definire un progetto formale contro l’abbandono dei banchi di scuola e il recupero di apprendimenti e socialità persi durante il periodo della pandemia da Covid. Come abbiamo già scritto, si tratta di un’intesa, di durata triennale, definita il 13 luglio a Roma tra la stessa Regione Siciliana e il ministero dell’Istruzione.
Ma in cosa consiste l’accordo? Prima di tutto nell’ambito del Piano Estate, la Regione Siciliana si impegna a mettere a disposizione un contributo finanziario aggiuntivo finalizzato a potenziare le competenze disciplinari, il recupero della socialità e l’attività di accompagnamento delle studentesse e degli studenti verso l’inizio del nuovo anno scolastico. Saranno valorizzati, in particolare, i progetti delle scuole in rete con associazioni sportive, culturali e del terzo settore nell’ottica di una rigenerazione urbana e dello sviluppo dei quartieri a maggiore rischio di esclusione sociale.
L’Intesa prevede, inoltre, l’elaborazione di un Piano straordinario per il contrasto alla dispersione scolastica e della povertà educativa per il triennio 2021-2023.
Tra le finalità, l’ampliamento dell’offerta formativa, la ristrutturazione degli istituti e, in particolare, degli spazi dedicati alla mensa e ai laboratori.
Sono previsti anche un programma per il rafforzamento delle competenze nella scuola media e nel primo biennio della scuola superiore, interventi formativi sull’orientamento per i docenti perché possano sostenere gli studenti nella scelta del percorso di studio, la creazione di sportelli di ascolto nelle scuole a più alto tasso di dispersione.
Insomma, le scuole e il ministero dell’Istruzione metteranno in campo più risorse e più impegno per invertire la tendenza sulle scarse competenze acquisite e per mettere un argine all’alto numero di abbandoni, che in alcune province della Sicilia tocca l’apice nazionale, con punte del 30-40%.
Si agirà, tuttavia, esclusivamente sulle scuole, sulla formazione dei docenti, sull’orientamento e sul supporto agli studenti. E ad agire sarà esclusivamente la scuola.
La quale sarà chiamata a condurre una serie di azioni con ricadute senza dubbio positive sugli apprendimenti e sulla “vicinanza” dei giovani al contesto scolastico.
Ma basteranno? Il dubbio è lecito. Perché la scuola da sola non può vincere le resistenze di chi non ha alcuna intenzione di investire nello studio.
I giovani a rischio abbandono vanno “presi” di petto su più fronti: quello scolastico, certamente, ma prima ancora bisogna agire sulle famiglie, sensibilizzandole e cercando di far capire loro che lasciare la scuola prima del tempo comporta dei rischi altissimi per il buon esito della vita futura di un giovane.
Come occorre agire sulle aziende, cercando di coinvolgerle in attività di formazione e tirocinio: la Germania è il modello da imitare.
Infine, ma non da meno, occorre coinvolgere altre istituzioni, ad iniziare dagli altri ministeri che ruotano attorno ai giovani, ma anche gli enti locali, che entrano in gioco quando le situazioni familiari si fanno drammatiche.
Quello che serve è anche altro: entrare in gioco anche in contesti non estremi, quando vi sono delle semplici “avvisaglie”, con i bambini e u ragazzi che inviano segnali di insofferenza verso la scuola. In questi casi la sinergia scuola-ente locale diventa fondamentale e di reciproca collaborazione. Senza attendere che la ritrosia verso i libri si trasformi in contrarietà.
In questo modo, generando una benefica interazione tra gli istituti scolastici e le strutture del territorio. Anche con il cosiddetto ‘terzo settore’: è attraverso i privati, le associazioni, le cooperative, che, ad esempio, si sta realizzando il Piano Estate. Allora sì che avranno un’utilità effettiva le azioni decise dal ministero con le singole Regioni.
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