Il 40 per cento degli studenti universitari norvegesi arriva alla laurea già con un impiego. E lo stesso vale per almeno un iscritto su quattro agli atenei di Austria e Germania. In Italia, invece, si “spende” su due fronti, studio e lavoro, solo il 15 per cento degli studenti. Una condizione, quella italiana, che, alla luce della crisi che avvolge il mondo del lavoro in tutto il vecchio Continente, gli esperti non possono che considerare negativa: a distanza anche di anni dal conseguimento del massimo titolo di studio, infatti, solo una parte dei laureati può contare su un impiego. Ed è sintomatico anche il fatto che la gran parte dei laureati nella cosiddetta ‘triennale’, la mini-laurea, decidano di continuare a seguire lezioni e sostenere esami iscrivendosi alla specialistica.
Una scelta che di fondo appare saggia, perché in tempo di crisi è sempre meglio proseguire gli studi per presentarsi sul mercato del lavoro più preparati, ma su cui cominciano a levarsi alcuni dubbi. Secondo il professor Ulrich Tiechler, dell’Università tedesca di Kassel, che ha verificato la condizione degli universitari di dieci paesi europei, gli studenti di oggi devono indubbiamente essere “più intraprendenti già durante il periodo dell’Università. Bisogna reinventarsi e smettere di piangersi addosso, essere più creativi e rischiare di più nell’ideazione dei corsi di studio e nell’approccio al lavoro”. Le parole del docente tedesco, pronunciate durante la conferenza internazionale “Capitale umano e occupazione nell’area europea e mediterranea”, organizzato dall’Università di Bologna e AlmaLaurea, si sono trasformate in una vera e propria sferzata agli studenti italiani quando è stato associata la loro bassa propensione al lavoro al termine “indolenza”.
Una tendenza che sarebbe confermata, ha aggiunto Kassel, da un altro dato: quello delle esperienze all’estero durante il periodo degli studi. “Sono solo gli studenti di Austria, Norvegia e Olanda in linea con gli obiettivi fissati dal Processo di Bologna nel 2009. Oltre il 20 per cento degli universitari di questi tre Paesi ha infatti avuto almeno un’esperienza di studio al di fuori dei confini nazionali. Male l’Italia che, con uno scarso 5 per cento si piazza tra le ultime posizioni, in compagnia di Francia, Polonia e Repubblica Ceca”. Insomma, ancora una volta il tanto discusso termine “bamboccioni”, pronunciato in un paio d’occasioni ufficiali dal ministro dell’Economia dell’ultimo Governo Prodi, Tommaso Padoa Schioppa, per descrivere lo stato poco responsabile di troppi 30enni italiani, sembrerebbe tutt’altro che infondato.