Basta con l’esame di maturità, introduzione di materie facoltative, più rispetto e soldi per i prof, programmi meno teorici e più ancorati alla realtà. Sono alcune delle proposte realizzate da 50 studenti italiani, ora universitari, che hanno frequentato il quarto anno di liceo all’estero, dagli Stati Uniti alla Scandinavia, e una volta tornati hanno giudicato la nostra scuola in base alla loro esperienza. Le risposte sono state raccolte nello studio “La scuola che vorrei”, un progetto di ricerca dell’Università Bicocca di Milano e della Fondazione Intercultura, presentato il 30 settembre a Milano.
Diverse le idee proposte dagli studenti, raccolte e trasformate dai ricercatori in proposte concrete per migliorare la scuola italiana: innanzitutto le scuole superiori dovrebbero durare un anno in meno per non arrivare nel mondo del lavoro in ritardo rispetto agli altri Paesi, oppure il quinto anno dovrebbe essere di preparazione all’Università, con la possibilità di provare l’esperienza di uno stage lavorativo; le materie non dovrebbero poi essere tutte obbligatorie; i ragazzi dovrebbero avere la possibilità di costruire il proprio piano di studi, aggiungendo magari ore di “religioni” (non solo quella cattolica), “ecologia” o “lingue extraeuropee”; i programmi, ritenuti in prevalenza mal distribuiti rispetto al calendario (“Meno sumeri e più Novecento” chiede uno studente), dovrebbero avere un respiro più internazionale ed essere più collegati al presente.
Ma le indicazioni non giungono solo sui contenuti. Gli studenti vorrebbero più rispetto per l’istituzione scolastica in generale e per chi la governa: gli insegnanti, preferibilmente giovani, dovrebbero essere ammirati dalla società, seguire corsi di formazione e avere uno stipendio più alto (“No agli insegnanti pagati come metalmeccanici“); i ragazzi vorrebbero una valutazione a metà anno su tutte le materie e poi una tesi finale che metta in luce le loro capacità, ma niente più esame di maturità.
Un riferimento anche alle strutture scolastiche, che dovrebbero essere più attrezzate e curate: mentre oggi risultano “spesso fatiscenti”. E non solo, perché il problema è anche di considerazione sociale: “in Ecuador – racconta uno degli studenti – il livello dell’insegnamento non era come quello italiano e gli edifici erano spartani, ma quanto rispetto per un’istituzione riconosciuta veramente importante“.
Secondo Susanna Mantovani, coordinatrice della ricerca, docente di Pedagogia e prorettore dell’Università, i ragazzi vanno considerati “osservatori privilegiati: hanno potuto osservare dall’esterno il loro ambiente acquisendo la capacità di riconoscerne i tratti culturali”. Tuttavia, nel confronto l’Italia non sempre perde: la nostra scuola è promossa quando si verifica l’equità di accesso a tutte le classi sociali, l’ampia cultura generale che offre e l’impegno e le ore di studio che richiede.
Secondo Susanna Mantovani, coordinatrice della ricerca, docente di Pedagogia e prorettore dell’Università, i ragazzi vanno considerati “osservatori privilegiati: hanno potuto osservare dall’esterno il loro ambiente acquisendo la capacità di riconoscerne i tratti culturali”. Tuttavia, nel confronto l’Italia non sempre perde: la nostra scuola è promossa quando si verifica l’equità di accesso a tutte le classi sociali, l’ampia cultura generale che offre e l’impegno e le ore di studio che richiede.