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Studenti, ogni fine anno scolastico migliorano il quoziente intellettivo di 3 punti. E i docenti?

A giugno, ad ogni anno scolastico messo alle spalle, gli studenti acquistano un pezzetto in più di intelligenza: il loro quoziente intellettivo, infatti, cresce. E nemmeno di poco: ci sono alcuni allievi che rispetto al settembre precedente si ritrovano con oltre 5 punti di QI in più, con la media che è comunque del 3 per cento. A sostenerlo è Stuart Ritchie della University of Edinburgh, assieme a Elliot Tucker-Drob, della University of Texas a Austin, che hanno svolto una ricerca sul tema e pubblicata sulla rivista Psychological Science.

La ricerca – ripresa dall’agenzia Ansa – va presa nella massima considerazione, sia per la valenza dei ricercatori, sia perché si è svolta su larghissima scala, basandosi sull’utilizzo di 42 set di dati raccolti da 28 studi per un totale di 615.812 individui coinvolti.

Studiando si diventa intelligenti

Al termine della ricerca, Ritchie e colleghi hanno stimato che il quoziente intellettivo degli studenti sale da un minimo di 1,197 punti a un massimo di 5,229 punti. Nel complesso i ricercatori hanno calcolato che a ogni anno di istruzione in più conseguito da una persona corrisponde un aumento medio di 3,394 punti per il suo quoziente intellettivo.

L’esistenza di un legame tra quoziente intellettivo di un individuo e numero di anni di scolarizzazione è ben nota, spiegano dall’Università Ritchie, ma finora non era stato possibile stabilire la ‘direzione’ di questa associazione; ovvero si è più intelligenti e quindi si studia di più e si raggiungono livelli di istruzione più elevati o, viceversa, è proprio studiando di più che si diventa più intelligenti? Ebbene, lo studio pubblicato lascia propendere per questa seconda possibilità.

Le varie ipotesi sul QI degli insegnanti a giugno

Sarebbe interessante approfondire cosa accade, sempre alla fine di ogni anno scolastico, al quoziente intellettivo dei docenti: rimane invariato, perché in età adulta non si sviluppano ulteriori miglioramenti? Oppure si appiattisce, perché l’insegnamento non presuppone nuove conoscenze?

Oppure, ancora, potrebbe aumentare, seppure in misura minima, grazie all’interazione continua con gli studenti, l’esigenza di insegnare loro nuovi contenuti, anche grazie all’aggiornamento professionale, che da un paio d’anni e diventato obbligatorio.

I più pessimisti, potrebbero ribattere, però, che lo stress da cattedra, riassumibile con il termine burnout, è causa di un numero alto di patologie. E che, quindi, i margini di miglioramento intellettivo sarebbero minimi, se non addirittura tendenti alla regressione.

Alessandro Giuliani

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