Tuttavia, il suo ideatore, il professore di studi americani Muhammed Dajani, un membro di una famiglia palestinese di chiara fama cresciuto nel braccio armato di al-Fatah, viene adesso accusato da più parti di aver praticato ”il lavaggio del cervello” nei suoi studenti, col rischio – questo almeno il timore – di ”indebolire il loro fervore nazionalistico” avendo discusso con loro le sofferenze patite dal popolo ebraico.
Ma Dajani replica di essere stato spinto dalla volontà di emanciparli allargando i loro orizzonti culturali; di indurli a ”rompere le mura del silenzio, a demolire i recinti dei tabù, a nuotare contro la marea nella ricerca della verità ”.
Le minacce, ha aggiunto su Facebook, non lo intimidiscono. ”Non mi nascondo.
Alla prossima occasione, ripeterò quella visita”.
Nel sistema scolastico palestinese, il tema della Shoah viene in genere evitato.
In anni passati Hamas ha apertamente chiesto all’Unrwa (l’agenzia dell’Onu per i profughi) di non includerla nei propri programmi di studio. Ma negli anni trascorsi negli Stati Uniti il professor Dajani ha invece maturato la convinzione che la società palestinese può meglio progredire se basata sul pluralismo, stimolando un pensiero critico. E che per misurarsi con gli israeliani, occorre anche comprendere i loro timori. In un’intervista al New York Times il prof. Dajani ha spiegato di aver cominciato a vedere gli israeliani sotto una luce diversa quando medici israeliani si prodigarono per alleviare le sofferenze dei suoi genitori in punto di morte.
Data la sensibilità, la visita accademica ad Auschwitz è stata organizzata in segreto, nel contesto di un programma di studi sulla soluzione di conflitti dell’Università Friedrich Schiller di Jena (Germania) e dell’Università Ben Gurion di Beer Sheva (Israele). In parallelo, 30 studenti israeliani si sono recati nel campo profughi di Deheishe (Betlemme) per comprendere meglio il dramma della dispersione del popolo palestinese. In una fase successiva, studenti tedeschi di psicologia valuteranno l’impatto ottenuto con queste esperienze.
Non appena la notizia della visita ad Auschwitz è trapelata sulla stampa le due università frequentate dagli studenti di Dajani – la ‘al-Quds’ di Gerusalemme e la ‘Bir Zeit’ di Ramallah – hanno precisato di essere estranee alla iniziativa, in cui – hanno sottolineato – non si riconoscono. Uno dei partecipanti, Salim Sweidan, l’ha invece difesa negando che essa abbia avuto alcuna ”dimensione politica o ideologica” e negando pure che essa abbia rappresentato alcuna ”normalizzazione con Israele”.
”La visita è andata bene”, ha commentato il prof. Dajani al ritorno. ”E servita ad instillare l’impegno ad alleviare la miseria umana, non tenendosi da parte”. Gli studenti ”hanno appreso molto, hanno adesso risposte verso quanti negano l’Olocausto”. Le critiche non lo faranno deflettere. ”Era mio dovere – ha spiegato – aprire nuovi orizzonti ai miei allievi, guidarli fuori dalla caverna delle percezioni errate, per vedere i fatti e la realtà sul terreno”.
”Se mi si ripresenterà la occasione – ha assicurato – non mi nasconderò, non mi farò da parte. Anche se le vittime di quelle sofferenze, verso le quali provo empatia, sono oggi occupanti della mia terra”. (ANSA).
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