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Studenti plusdotati, l’esperta: “La scuola si ostina a proporre lezioni frontali per alunni ‘standard’ che non esistono”

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Qualche giorno fa abbiamo parlato del caso dell’alunno di dodici anni con un quoziente intellettivo molto alto dapprima bocciato e poi ammesso alla classe successiva dopo la decisione del Tar. Anna Granata, professoressa associata di pedagogia presso l’Università di Milano Bicocca, ha rilasciato un’intervista a Fanpage in cui ha parlato di alunni plusdotati e di scuola.

Secondo la docente questa vicenda non è nient’altro che la perfetta rappresentazione della scuola di oggi. “È evidente che la scuola si ostini a proporre lezioni frontali, volte a interessare un alunno ‘standard’ che non esiste. I ragazzi plusdotati ci ricordano che gli alunni non sono vasi da riempire, ma che hanno bisogno di portare il loro contributo, altrimenti si annoiano e i loro talenti non vengono sostenuti dalla scuola ma colti, forse dalla società, quando saranno grandi”.

Scuola incapace?

Secondo Granata la scuola non riesce a valorizzare proprio nessuno: “La scuola che dovrebbe essere il luogo di valorizzazione dei talenti, delle intelligenze multiple e diverse, diventa il luogo che considera la plusdotazione un elemento problematico. Questo ci dice tanto dell’incapacità della scuola di oggi a riconoscere i diversi ritmi di apprendimento dei ragazzi”.

“Nella scuola di oggi, anche un bambino molto intelligente, con grande creatività intellettuale, grande curiosità e motivazione all’apprendimento è uno studente che in classe si annoia, è demotivato e frustrato. Emozioni che si traducono con atteggiamenti anche oppositivi, come quelli che hanno portato il ragazzo a rifiutarsi di studiare. Di tutta risposta la scuola, che non è stata in grado di riconoscere un’intelligenza più rapida della media, decide di esprimere la più alta forma di sanzione in suo possesso: la bocciatura”, ha aggiunto. 

“Idea sbagliata dell’alunno che arriva a scuola come un vaso vuoto da riempire”

Secondo la pedagogista la scuola favorisce la mediocrità: “Il nostro sistema scuola, in parte infragilito anche dal fenomeno della precarietà dei docenti, dalla scarsa compresenza degli studenti in classe che consentirebbe di diversificare i processi di apprendimento, non va bene per nessun alunno, al di là dei plusdotati. A scuola viene sempre premiato l’atteggiamento di esecuzione di un compito, adesione alle regole di comportamento, rispetto dei ritmi standard della classe, escludendo così le punte. La nostra scuola non vuole le punte, né quelle di intelligenza, che vedono i bambini andare più veloci degli altri, perché hanno maggiori esigenze, né quelle legate ai ritmi più lenti, perché punta all’omologazione in una società in cui l’eterogeneità fa da padrona”.

“Va a finire che i ragazzi, ai quali non è stata data alcuna fiducia, poi escono da scuola e solo una volta introdotti nella società vedono le loro doti e i loro talenti finalmente riconosciuti. Noi abbiamo ancora l’idea sbagliata dell’alunno che arriva a scuola come un vaso vuoto da riempire, e deve ricevere dei contenuti, delle conoscenze, invece dovremmo pensare a una scuola in cui ogni alunno porta il suo contributo in termini di saperi, conoscenze e lingue parlate. Un tipo di scuola che rende gli alunni protagonisti diventa l’antidoto alla noia e alla demotivazione”, ha concluso.