Da martedì 27 ottobre i docenti delle scuole superiori dovranno recarsi scuola per collegarsi con tutti gli studenti invece forzatamente a casa: è l’insolito scenario che si verrà a creare dopo che il Governo, con il Dpcm del 24 ottobre prodotto a seguito dell’innalzamento di contagi da Covid-19, ha chiesto alle scuole, previo confronto con gli enti locali e le autorità sanitarie, di procedere fino al 24 novembre anche con il 100% di didattica a distanza.
Nel volgere di pochissime ore, i dirigenti scolastici hanno convocato gli organi collegiali e adottato la dad in modo totale: una decisione presa anche per evitare complicate “formule” che avrebbero comunque permesso di svolgere in aula non più di 8 ore su 32.
Da subito scatterà l’insolita organizzazione: gli studenti collegati dalle loro dimore, i docenti collegati da scuola. Uno scenario che non piace ad alcuni sindacati, i quali rivendicano l’indispensabilità della presenza degli alunni per pretendere che i docenti siano in classe.
Chi aveva pensato che tale logica poteva essere figlia di un vezzo o di un’impuntatura di qualche preside considerato troppo “zelante”, è stato presto smentito: con la nota 1934 del MI, prodotta nella serata del 26 ottobre a firma del capo dipartimento Marco Bruschi, da Viale Trastevere hanno sottolineato che anche durante la dad “le istituzioni scolastiche continuano ad essere aperte, e in presenza, nell’istituzione scolastica, opera il personale docente e ATA, salvo i casi previsti al paragrafo 2 (personale docente e ATA in quarantena con sorveglianza attiva o in isolamento domiciliare fiduciario, ndr)”.
Sempre la nota di chiarimento del ministero dell’Istruzione spiega che “la dirigenza scolastica comunque, in caso di necessità, può adottare particolari e differenti disposizioni organizzative”.
Questo significa che le scuole, con motivate spiegazioni, potrebbero comunque chiedere ai docenti di non recarsi a scuola. Si tratta di una circostanza che si potrebbe venire a determinare, ad esempio, nel caso in cui la scuola non dovesse detenere una banda adeguata per la connessione.
Oppure l’istituzione non sia nelle condizioni di mettere a disposizione di decine di insegnanti, in contemporanea, dei computer o device funzionanti, non troppo obsoleti e corredati di telecamera. Una circostanza che nelle scuole italiane, anche nel 2020, non si può dare affatto per scontata.
Fatto sta che a molti docenti l’imposizione di andare a scuola e trovarsi a condurre una didattica in condizioni tecnologiche tutt’altro che ottimali è sembrato un paradosso: non sarebbe meglio, hanno domandato, rimanere, come gli studenti, a casa e condurre le lezioni da lì, magari lasciando la possibilità di recarsi a scuola solo a coloro che hanno problemi notevoli con la gestione casalinga delle tecnologie oppure sono impegnati con gli alunni con disabilità che preferiscono stare a scuola?
Il problema non è da poco, perchè ancora in diversi istituti superiori gli schermi interattivi e la fibra non sono stati installati. In tali circostanze, quindi, il collegamento da casa sarebbero più che giustificato.
All’Ansa, la preside dell’istituto agrario Sereni di Roma, che conta circa 850 studenti e più sedi, ha detto che “la fibra non arriva in nessun plesso, quindi la portabilità è scarsa rispetto alla quantità alunni. Finora abbiamo attuato un 50% di didattica a distanza. Da domani passeremo al 75%, privilegiando in presenza le prime classi”.
Alla luce di questo disagio, comunque “la maggioranza degli insegnanti si connetterà da casa. Il problema della connessione internet molto scarsa nelle scuole fuori dal Grande raccordo anulare è noto a tutti, avrebbero dovuto pensarci da tempo a sistemare. Noi possiamo fare fino a un certo punto”, ha sottolineto la dirigente scolastica.
Sui social sta riscuotendo successo una lettera della professoressa Valentina Romano, del liceo Scientifico Paolo Giovio di Como, pubblicata su “ComoCity” e indirizzata alla ministra Lucia Azzolina.
“Dolcetto o scherzetto? Ho pensato ad una bufala, ministra, sul serio”, scrive la prof.
“Perché tutti ci dicono che è meglio starsene a casa e a noi professori – che in Italia vantiamo il primato di essere i più anziani d’Europa – ci vien detto che no, da lunedì dobbiamo uscire per andare sul posto di lavoro“.
“Una volta lì – prosegue Giovio -, trotterelleremo mascherati da un’aula all’altra della scuola cambiando ogni ora postazione, sputazzeremo su una tastiera su cui hanno sputazzato prima di noi altri colleghi, faremo lezione in aule in cui la temperatura non è proprio tropicale, la connessione non proprio velocissima, l’acustica non proprio da studio di registrazione, e passeremo le ore buche tutti insieme in sala professori sorseggiando vin brulé e ricordando i vecchi tempi… Di quando la Didattica a Distanza non c’era, ma c’era solo la Didattica in presenza, che era rimasta l’unica cosa bella dell’insegnamento in una scuola completamente allo sfascio”, conclude la professoressa lombarda.
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