Categorie: Attualità

Studia al Classico e diventa un grande matematico

Da studente di Liceo Classico genio della matematica. Alessio Figalli, accademico romano di 35 anni (ora professore al Politecnico di Zurigo), è stato premiato nell’estate 2018 col trofeo più ambito: la medaglia Fields (International Medal for Outstanding Discoveries in Mathematics), premio per matematici più giovani di 40 anni. Solo un altro italiano, Enrico Bombieri, se l’era aggiudicata nel lontano 1974. Sulla medaglia è raffigurato Archimede di Siracusa (287-212 a.C.) ed è riportato in latino il detto lui attribuito: «Transire suum pectus mundoque potiri», ossia «Andare oltre il proprio intelletto e possedere l’universo». Così ha voluto la International Mathematical Union, organizzazione non governativa internazionale che ogni quattro anni dà vita all’International Congress of Mathematicians.

Gli studi di Figalli hanno infatti permesso di trovare le equazioni che spiegano matematicamente la dinamica del fuoco, dell’esplosione e dello scioglimento dei ghiacci: tematiche che potrebbero rivelarsi utilissime per la difesa dell’ambiente.

Il metodo insegnato al Liceo Classico forma menti scientifiche

Figalli, ribadiamo, prima di laurearsi in matematica (con un anno d’anticipo), all’Università di Pisa, aveva studiato al Liceo Classico Statale “Vivona” di Roma: lì aveva conseguito la Maturità Classica nel 2002 (sempre con un anno d’anticipo). Dimostrando ciò che gli stessi professori universitari delle facoltà scientifiche hanno sempre sostenuto: ossia che molti ottimi scienziati vengono dal Liceo Classico. Perché questo? Non è forse vero che al Liceo Classico il programma di matematica è ridotto rispetto a quello del Liceo Scientifico?

Lo stesso Figalli risponde a questo quesito in un’intervista rilasciata il 6 agosto 2018 alla giornalista Monica Coviello di Vanity Fair: «Il Liceo Scientifico è una scelta naturale per chi vuole fare matematica. Ma la mia storia mostra che, se uno vuole, può tranquillamente sceglierla dopo gli studi classici. La cosa più importante del liceo è motivare gli studenti ed insegnare loro, oltre che le nozioni, anche un metodo di studio. Il Liceo Classico mi ha sicuramente trasmesso tutto questo».

«Ma a che serve il Liceo Classico»?

Nell’ultimo decennio si è scatenata una vera offensiva contro il Liceo Classico, accusato di passatismo, nozionismo sterile, inutile spreco di energie giovanili e di soldi pubblici. Abbiamo letto controversi articoli ove si elencavano i pro e i contro dell’eventuale (e, secondo alcuni, auspicabile) smantellamento del Liceo Classico: sul Sole 24 Ore, su Il Fatto Quotidiano, su L’Espresso, su Avvenire. Alcuni governi ce l’hanno messa tutta per sabotarlo. Primo fra tutti il Governo Berlusconi IV, che affidò il Ministero dell’Istruzione (non più Pubblica), Università e Ricerca Mariastella Gelmini; ed il Ministero dell’Economia e Finanze a Giulio Carlo Danilo Tremonti. Costui il 5 agosto 2008, mentre gli Italiani erano in spiaggia e sui monti, riuscì far convertire in legge (133/2008) dalla Camera il D.L. 112, che tagliava i finanziamenti ordinari alla Scuola di oltre otto miliardi di euro (mai restituiti alla Scuola da nessun Governo successivo, malgrado le promesse elettorali).

Amputato = ringiovanito?

Di questi tagli (che devastarono ogni ordine e grado di scuola, facendo strage di cattedre, depauperando i laboratori, aumentando fino a 35 gli alunni per classe), una delle vittime più illustri fu proprio il Liceo Classico. Ove — tanto per dirne una — fu ridotto da cinque a quattro (-20%) il monte ore settimanale di italiano nel biennio ginnasiale; le ore destinate alla geografia furono dimezzate (da due settimanali a una sola); la geografia stessa fu unita alla storia e all’educazione civica (per tre ore settimanali in tutto); i ginnasiali si videro costretti a studiare materie scientifiche di cui non capivano ancora nulla, non avendo la necessaria preparazione matematica, fisica, chimica, biologica (e linguistica!) che un tempo si acquisiva nel triennio liceale. Nel complesso, un taglio di spesa pubblica mascherato da “riforma” e “svecchiamento” del Liceo Classico. Evidentemente, non sapere l’italiano e la geografia è da considerarsi segno di “ringiovanimento”.

Demolizione controllata

Dopo cotanta solerzia governativa (cui nessuno successivamente ha voluto rimediare), certo i risultati del Liceo Classico di oggi non possono esser quelli del 2002 (quando si diplomò i Figalli). Dal 2010 (anno in cui la “riforma” Gelmini cominciò a dispiegare i propri nefasti effetti), le cattedre sono frantumate. Le materie letterarie sono affidate non più a un docente o due per classe: frequente è il caso che i poveri studentini di quarta ginnasiale si ritrovino un docente di italiano, uno di latino, uno di greco, uno di storia e geografia (definite con l’incomprensibile termine di “geostoria”): quattro metodologie didattiche per cinque materie talmente complementari da rendere obbligatori continui rimandi dall’una all’altra.

Traduzione, analisi e sintesi

Eppure, Figalli stesso ricorda che l’insegnamento più grande del Liceo Classico è il metodo. Tradurre dal latino e dal greco dà alla mente del traduttore un’attitudine all’analisi dei dati ed alla sintesi interpretativa, talmente efficace da poter essere impiegata persino in ambito matematico, scientifico e tecnologico. Insomma, investire intelligenza nello studio di mondi passati è utile per formare menti capaci di comprendere la realtà attuale immaginando mondi futuri.

Lo capiranno, un giorno, i tanti detrattori del Liceo Classico che ancora imperversano?

Alvaro Belardinelli

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