Pur partendo da un elevato grado di scolarità, una persona può ritrovarsi in poco tempo a non avere le conoscenze necessarie ad agire efficacemente nei contesti in cui si trova, perché, smettendo di imparare, si disimpara quanto si era imparato in passato.
Si chiama analfabetismo funzionale e questo non decresce in modo proporzionale alla crescita dei tassi di scolarizzazione, al punto che un Paese con tassi di scolarizzazione relativamente alti come l’Italia si ritrovi fra i primi Paesi OCSE per lavoratori con un bassissimo livello di competenze.
L’analfabeta funzionale -si legge su Linkiesta- è una persona che ha capacità di base di scrittura, lettura e numeriche, ma non è in grado di applicarle per svolgere le attività che gli sono necessarie a prendere decisioni consapevoli e a partecipare in modo attivo alla vita sociale e lavorativa.
Ne consegue che una bassa alfabetizzazione funzionale limita le persone nello svolgimento di quelle attività che richiedono pensiero critico e capacità sviluppate di analisi e sintesi: capire le politiche governative e votare consapevolmente, calcolare costi e ritorni di un investimento finanziario, usare correttamente le tecnologie per trovare informazioni affidabili e così via.
In sintesi, quindi, una persona con una bassa alfabetizzazione funzionale fa fatica a relazionarsi attivamente e in modo consapevole nella società in cui vive.
L’indagine OCSE-PIACC evidenzia che il titolo di studio posseduto spiega una parte rilevante del livello di competenze di una persona, ma anche che le competenze acquisite con lo studio si possono erodere facilmente e che livelli bassi di alfabetismo sono comuni anche in Paesi con tassi di scolarizzazione altissimi.
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