Per arginare le abilità di scrittura e di lettura degli studenti e, quindi, favorire un miglioramento della conoscenza della lingua italiana è quello di ripristinare lo studio del latino nella scuola secondaria di I grado.
Apprendendo, infatti, la lingua di Cicerone, si impara facilmente ad esprimersi e scrivere correttamente in italiano perché il latino è una lingua “plastica” che affina e potenzia le capacità linguistiche dell’italiano.
Si apprende l’esatta concordanza dei tempi verbali, la consecutio temporum e tutti i costrutti morfosintattici della lingua italiana. Occorre, per porre un rimedio alle lacune degli studenti nell’italiano scritto ripristinare lo studio della morfologia e della sintassi latina fin dalla scuola secondaria di I grado (scuola media) come si faceva un tempo e i risultati di prima erano nettamente migliori di quelli attuali.
Non solo abbiamo assistito ad un impoverimento dello studio del latino nei licei, ma assistiamo oggi ad un depauperamento della lingua italiana. Le lingue classiche non sono lingue morte, come si vuol far credere, ma sono lingue più che vive, In un bellissimo articolo di Maurizio Bettini, pubblicato, qualche anno fa su “Repubblica” dal titolo “Rimandati in latino. Salviamo la bellezza della cultura classica”, in cui si fa un’analisi profonda del De Profundis dello studio delle lingue classiche e dello stato comatoso dei licei classici.
Bettini si pone la domanda: “Perché iscriversi al liceo classico?” La risposta la trova nell’accezione più ampia di ciò che il Liceo classico è stato ed è per molte generazioni: la scuola dove si studia e si tramanda la nostra identità, la nostra storia, l’evoluzione della lingua, in una sola parola, la nostra cultura. Su questa base si ritiene che le civiltà classiche continuino a far parte della nostra enciclopedia culturale e che si instauri un legame di memoria con il mondo classico attraverso un paradigma differente.
In poche parole è necessario cambiare l’approccio all’insegnamento del latino e del greco che non deve essere pedantesco, ma dilettantesco, facendolo apparire non un retaggio di un passato ormai remoto, bensì dandogli quell’aura di freschezza e di contemporaneità.
Occorre leggere i classici attualizzandoli nella realtà presente enucleando più che il vocabolo aulico da tradurre e interpretare, il senso culturale del termine classico desunto dal significato antropologico della stessa parola.
Lo studio delle lingue classiche deve essere visto in una sorta di “confronto tra culture” e di “mutamenti culturali” cui la nostra società va quotidianamente incontro. All’alunno, insomma, è più importante fornirgli gli strumenti per capire, leggere e interpretare il mondo classico più che porgergli una versione di Tacito, Cicerone, Seneca, Tito Livio, Tucidide, dove deve cimentarsi in una traduzione letterale delle parole e dei costrutti. Alla traduzione dei classici nella lingua originale deve pensarci l’Università: il Liceo deve forgiare lo studente dandogli solo gli strumenti necessari per muoversi all’interno dell’universo classico.
I numeri sugli iscritti del liceo classico parlano chiaro e denotano un depauperamento della passione per lo studio del latino e del greco da parte dei nostri studenti che considerano lingue morte.
Cosa fare? L’unica strada è quella di “rendere plastico” l’insegnamento delle discipline classiche attraverso un innesto di contemporaneità nella cultura dell’antico, ossia rendere attuale il messaggio che i poeti e i prosatori greci e latini volevano trasmettere all’uomo con il loro modo di scrivere, di pensare e di agire.
Mario Bocola
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