Sviluppare negli alunni una maggiore attenzione ad obiettivi di padronanza (“voglio capire meglio”, “voglio imparare bene come si fa”) piuttosto che ad obiettivi di prestazione (“voglio fare bella figura nella verifica”, “voglio avere un buon voto”) risulta più utile sul piano della qualità degli apprendimenti acquisiti e su quello delle esperienze emotive associate al percorso formativo. Sono molti gli studi che confermano questo assunto.
Nei cosiddetti performance goals l’interesse è rivolto al risultato, nella scuola come in qualunque altro ambito. Nello sport, nel tennis, per esempio, l’equivalente potrebbe essere quello di puntare a vincere una partita di torneo, anche effettuando colpi di per sé non corretti sul piano tecnico, ma sui quali ci si sente più sicuri. Nei learning goals, il focus è invece centrato sull’imparare ad eseguire bene i movimenti che il coach ha insegnato all’allievo, anche se questi può avere una iniziale difficoltà nell’eseguirli correttamente e quindi può rischiare di perdere per questo la partita del torneo.
Le condotte correlate a questi due orientamenti sono anch’esse molto diverse. L’alunno focalizzato sulla padronanza punterà a migliorare rispetto al suo livello di competenza precedente, sperimentando, esplorando, tentando più volte. L’alunno orientato alla performance cercherà invece prevalentemente di mantere il proprio agire all’interno di recinti di abilità che ritiene già di dominare, per evitare di fornire prestazioni inadeguate, puntando ad ottenere buoni risultati, soprattutto nel confronto sociale con i compagni.
Gli studi su queste disposizioni motivazionali, nel solco della cosiddetta Achievement Goal Theory, a partire dagli anni Ottanta, con i lavori di Carol Dweck, hanno messo in evidenza i vantaggi dell’orientamento alla competenza rispetto a quello riferito alla prestazione.
Si è evidenziato infatti che l’orientamento alla competenza genera una maggiore propensione al comportamento strategico e all’apprendimento profondo dei contenuti di studio; che correla con la motivazione intrinseca e con un maggiore piacere nell’apprendimento, con un approccio sfidante e non di fuga davanti alle prove più difficili, con una maggiore persistenza di fronte alle difficoltà e con una maggiore valorizzazione dell’impegno personale; esso inoltre favorisce una maggiore propensione al lavoro cooperativo con i compagni.
Per converso, l’approccio orientato alla prestazione tenderebbe a sviluppare un apprendimento più superficiale, maggiore ansia di fronte alle prove e un confronto di tipo tendenzialmente competitivo con i propri pari.
Le ricerche degli ultimi anni hanno confermato questo quadro, ma hanno anche evidenziato come deve essere sempre il contesto a decidere quali obiettivi sarebbe più opportuno porsi. Ad esempio, in alcuni casi, come nella preparazione agli esami nel percorso universitario e di fronte a mete come le prove concorsuali, dove la qualità della performance è decisiva, un orientamento alla prestazione può rivelarsi più produttivo.
La conclusione che se ne può trarre, per quanto riguarda l’insegnamento scolastico, è che è opportuno investire maggiormente, a livello, potremmo dire, di ambiente e di cultura dell’apprendimento (e dell’insegnamento), sugli obiettivi di padronanza, a maggior ragione nel primo ciclo, costruendo ambienti di apprendimento e processi valutativi dove tali obiettivi siano incoraggiati costantemente (e coerentemente) rispetto agli altri. La focalizzazione sulla valutazione formativa appare una scelta determinante da questo punto di vista.
Allo stesso tempo, però, può essere importante aiutare gli allievi a confrontarsi anche con obiettivi di prestazione, per esempio, in occasione delle verifiche finali dell’anno o degli esami di Stato, poiché la vita presenterà varie occasioni in cui potrà rivelarsi decisivo aver imparato a gestire in modo oculato anche la preparazione in vista di un fatidico appuntamento in cui la qualità della prestazione può decidere anche perentorie situazioni del tipo “dentro o fuori”.
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