Studio Talis-Ocse, i docenti più vecchi sono in Italia

Sono avanti con gli anni, fanno fatica a mantenere l’ordine in classe, non risultano specializzati come dovrebbero e si aggiornano raramente. Non è proprio lusinghiero il quadro realizzato dall’Ocse – l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico – sulla base di una nuova indagine internazionale sul comparto della scuola incentrata, stavolta, sulle valutazioni che gli stessi docenti danno dei sistemi scolastici. Lo studio, denominato “Teaching and Learning International Survey (Talis)”, si basa su una serie di quesiti sottoposti a un corposo campione, appartenente a 23 Paesi, composto da 70.000 unità tra docenti e dirigenti scolastici. In attesa della loro presentazione ed analisi completa, in programma a Roma, il 17 maggio presso il Miur, l’Ocse ha voluto fornire alcune anticipazioni.
La prima, che poi è una conferma di un dato che già si conosceva da tempo, è che la scuola italiana si contraddistinguerebbe prima di tutto per l’elevata età media del suo corpo docente assunto a tempo indeterminato: il 52 per cento degli oltre 700.000 docenti di ruolo ha infatti almeno 50 anni. E solo un “risicato” 3 per cento risulta averne non più 30, quando invece nella media internazionale questa quota è cinque volte tanto. Tanto da meritarsi un implacabile giudizio da parte della stessa Ocse: “L’Italia ha la forza lavoro più anziana tra i Paesi Talis”.
Il settore dove i docenti italiani risultano più anziani (addirittura oltre i 51 anni) è quello della secondaria di primo grado, mentre alla primaria fanno registrare circa un paio d’anni inferiori alla media nazionale.
E le note negative non finiscono qui. L’ente parigino ha infatti anche segnalato che in Italia è più elevata della media la quota di presidi che riferisce di mancanza di insegnati specializzati e personale tecnico – utilizzabile nei laboratori – poiché le lamentele raggiungono il 52 per cento contro la media internazionale del 38 per cento.
Ancora meno positive risultano le valutazioni sulla disponibilità di strutture tecniche e libri per l’istituto.
Ed inferiore alla media internazionale dell’89 per cento è anche la quota di insegnati che riferisce di aver partecipato a attività di sviluppo professionale negli ultimi 18 mesi: in Italia è all’85 per cento.
A proposito dell’ordine nelle classi, in Italia per mantenerlo gli insegnanti dedicherebbero una quota di tempo di lezione leggermente più alta della media, e all’insegnamento effettivo verrebbe dedicato il 77 per cento della lezione contro la media Talis del 79 per cento. E’ anche vero, fa notare sempre l’Ocse, che la maggior parte degli insegnati non ritiene che sia necessario attendere a lungo affinché la situazione si calmi all’inizio della lezione: l’81 per cento dei docenti riporta un minor numero di interruzioni causate dal rumore e che gli studenti si impegnano a favorire un clima sereno per l’apprendimento. Lo stesso organismo internazionale segnala però che il rapporto studenti-insegnanti viene valutato dagli stessi docenti in maniera lievemente meno positiva rispetto alla media internazionale.
Le scuole italiane sono poi tra quelle a disporre di minore autonomia su assunzioni e livelli delle retribuzioni degli insegnati, laddove godono di più autonomia in merito all’allocazione dei fondi. Un problema, quello della selezione mirata e della meritocrazia, che tuttavia secondo l’Ocse non si riconduce solo all nostra penisola: “le autorità sulla scuola – avverte l’Ocse – devono approntare incentivi più efficaci per gli insegnanti. Molti paesi non prevedono legami tra le performance degli insegnanti e i riconoscimenti che ricevono, e anche quando ci sono non sono molto forti”.
Alla luce di tutto questo fa un po’ pensare il dato fornito a proposito di uno dei livelli più elevati di soddisfazione, tra gli insegnanti italiani, sul proprio lavoro, pari al 95 per cento. E che sia ancora più elevata la quota di quelli che giudica positivamente la propria efficacia nell’insegnare, 98 per cento. Sembrerebbe quasi che, malgrado tutte le contraddizioni e difficoltà che caratterizzano le nostre aule scolastiche, le lezioni alla fine vengono realizzate quasi al meglio.
Una curiosità, infine, riguarda la sottolineatura da parte dell’Osce sul fatto che gli insegnanti italiani sotto i 40 anni abbiano passato il doppio del tempo sulla loro stessa formazione rispetto ai loro collegi over 50. E che nelle scuole private vengono dedicati 14 giorni in più a questa voce rispetto alla scuola pubblica. Dati, questi ultimi, che se confermati aprirebbero sicuramente nuovi scenari: ma prima occorre realizzare approfondimenti e verifiche ulteriori.
Alessandro Giuliani

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Alessandro Giuliani

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