Questa estate è stata costellata da episodi davvero violenti e crudeli: dallo stupro di gruppo Palermo all’uccisione della povera capretta ad Anagni, alle violenze di Caivano. In molti casi, come nei primi due, si tratta di atti violenti che sono ripresi dagli smartphone i cui video vengono postati sui social media.
Su questo proliferare di immagini cruente è intervenuto lo psichiatra Paolo Crepet a La Stampa. “Mi sconvolge l’idea che non esista più il privato, fatto a pezzi dal cannibalismo dei social”, ha detto l’esperto. “Con i social possiamo entrare in modo forte e brusco nell’intimità di un dolore o di una tragedia, come nel caso della strage di Brandizzo. Troviamo la guerra, gli stupri. La capretta ammazzata dal branco. Tutti questi episodi sono arrivati a noi grazie alla violenza dell’immagine. Ne parliamo anche perché abbiamo abbondante materiale visivo, con l’impressione di spiare dal buco dalla serrature le altre vite. Noi spiamo, sempre noi mettiamo le nostre vite sui social. Sono il chiavistello capace di spezzettare tutte le serrature dell’anima”.
Secondo lo psichiatra tutto svanisce, fagocitato dalla velocità e immediatezza dei social, anche le immagini più violente: “Episodio dopo episodio, immagine potente dopo immagine potente assistiamo a un’escalation del tribale. Siamo bombardati da visioni fortissime, colori diversi che quando si mischiano arrivano al nero. Questo flusso ci porta prima all’anestesia, poi all’indifferenza intesa come mancanza di compassione. Sui social nulla, per terrificante che possa essere, riesce a sopravvivere per più di ventiquattr’ore. Mi chiedo cosa potrà restare di un’epoca dove tutto sparisce e di cui non ricorderemo”.
Insomma, siamo in balia di piattaforme da cui praticamente dipendiamo? “Non è vero che noi usiamo i social, sono loro che usano noi. Faccio un esempio. Ci si laurea, sposa, partorisce, fidanza e lascia sempre raccontandolo. Se non l’hai raccontato, non è successo. Non esistono più gli album di famiglia, ma i reel. Dopo che l’hai mostrata a tutti, cosa resta? Questo è il secolo che polverizza le nostre vite. Vai a cercarla e non la trovi più. Ecco dove si perde la nostra identità”, ha aggiunto.
“Stiamo assistendo a un cambiamento antropologico, lo scrissi dieci anni fa in un libro e tutti mi hanno dato contro. Ora è la scienza che ci dice che l’uso di questa tecnologia può provocare danni cognitivi e comportamentali, ma non importa a nessuno. La nostra memoria è impoverita e impoverita è anche la nostra testa. Siamo una società in pre-agonia, senza nessuna intenzione di cambiare direzione”, ha concluso Crepet.
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