Fa davvero inorridire quanto accaduto Palermo. Ovunque si parla dell’orrendo stupro compiuto da un gruppo di sette giovanissimi ragazzi ai danni di una giovane. Sui social e non c’è fermento, e si chiede a gran voce un cambiamento nella cultura e nell’educazione dei giovani.
Cosa può fare la scuola? Quale il ruolo della famiglia? Queste sono le domande che riecheggiano in questi giorni. Anna Paola Concia, politica, attivista e coordinatrice del Comitato organizzatore di Fiera Didacta Italia ha scritto un tweet sul tema diretto al ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara: “Agli uomini: a chi si sente indignato per essere paragonato agli stupratori di Palermo. Reagite al racconto che siete tutti uguali. Rigettate quella cultura tossica maschile. Parliamone. Faccio un appello al ministro Valditara sensibile a questo tema”, queste le sue parole.
La risposta del capo del dicastero di Viale Trastevere non si è fatta attendere: “Grazie Paola per questo invito. Certo che non siamo tutti uguali! E la gran parte degli italiani non ha nulla a che vedere con la cultura che genera violenza sulle donne. Dobbiamo comunque lavorare nelle scuole per affermare il valore del rispetto e rigettare i residui di machismo”.
Il ministro crede quindi che la scuola abbia un ruolo chiave nel necessario cambiamento di mentalità nella cultura dei giovanissimi. Nel frattempo sono molti i docenti che vogliono fare qualcosa di concreto, in classe, sin da subito per sensibilizzare contro la violenza di genere.
Anche il cantante Ermal Meta ha parlato dell’argomento toccando il tema dell’educazione: “È evidente che il sistema educativo ha fallito. Servono punizioni esemplari e certezza della pena. Ciò che lucidamente hanno fatto e detto è raccapricciante. Immaginate di essere quella ragazza con un calvario da vivere e che la segnerà a vita. Immaginate di essere al posto dei genitori della ragazza che dopo 4/5 anni, se va bene, si vedono in giro queste bestie. Immaginate di essere invece la madre di uno di loro che tenta di screditare la vittima. Lo vedete l’abisso? Riuscite a percepirlo?”.
C’è anche chi crede che più che la scuola dovrebbero attivarsi le famiglie per prevenire eventi tragici del genere. “Le taumaturgiche mura scolastiche, in cui gente pagata con lo sputo dovrebbe finire i programmi e al contempo educare, insegnare le lingue, il cinema italiano, i cantautori, l’ecologia, la costituzione, la moda, poi avviare al lavoro, fermare violenze e salvare vite, e poi volare. Sono anni che non entro in una scuola, magari, per carità, la situazione è cambiata e adesso fanno miracoli. Però la convinzione che quello che accade tra quelle quattro mura possa azzerare tutto ciò che c’è fuori e online mi sembra molto, molto comoda”, ha scritto sarcasticamente un utente su Twitter, per dire che la scuola non può magicamente sradicare la cultura maschilista dalla società.
Una mamma ha voluto condividere la sua esperienza con la nostra redazione e in merito all’auspicio di una collaborazione scuola-famiglia ha dichiarato: “Sono una mamma di una ragazzina di 13 anni, nello scorso anno scolastico scoprii sulla chat dei soli alunni immagini e video violenti osceni e di bullismo. A mia volta ho provveduto a fare un video della chat e a far abbandonare immediatamente il gruppo. Ho avvertito di ciò i genitori sulle chat delle “mamme” che, invece di preoccuparsi dell’accaduto, mi aggredirono dicendo che volevo creare problemi e siccome avevo avvisato la vice preside mi intimarono che se i loro figli fossero stati in punizione, si sarebbero fatte sentire. Un solo genitore mi ha telefonato graziandomi dell’informazione. La vice preside dal canto suo mi disse che essendo un episodio extra scolastico (avvenuto su una chat privata e dopo la fine dell’anno scolastico) loro non sarebbero intervenuti perché non riguardava “L’ambito scolastico”. Posseggo ancora il video ed è inutile che scrivete di intesa scuola/famiglia, la Scuola se ne lava le mani e le famiglie sono solo preoccupate della “facciata”. I giovani sono completamente allo sbando sociale”.
“Ancora una volta sulla vittima di uno stupro (di gruppo peraltro) viene esercitata una doppia violenza: fisica e psicologica. La notizia delle chat con frasi disgustose e che non attengono ad una società civile, completano un quadro di orrori”.
In vacanza nella sua città d’origine Licata, Francesco Pira, professore associato di sociologia dell’Università di Messina e coautore del libro “La violenza in un click”, ha commentato quanto è accaduto a Palermo e la narrazione giornalistica e sui social che ne è seguita.
“I video sui social dello stupro, i commenti senza confini al rispetto di un altro essere umano, sono i nuovi trofei – ha detto il prof. Pira, Direttore del Master in Esperto della Comunicazione Digitale UniMe – da esibire con il proprio network. Nella narrazione sui media e sui social, ancora una volta la vittima non esiste, ma vengono raccontate, con dovizia di particolari, le gesta violente di chi ritiene senza valore il corpo di una donna, e soprattutto non comprende quanto quello che è accaduto la segnerà per sempre”.
“I messaggi nell’ordinanza di custodia cautelare e pubblicati dai media riaprono il dibattito sul confine tra diritto di cronaca e diritto di privacy. “Era giusto pubblicare i video dell’Isis che tagliava le teste dei giornalisti?” – si è domandato il sociologo Pira – “per alcuni sì perché facevano vedere l’efferatezza del gesto e per altri no perché c’era rischio emulazione. Facendo un parallelo con quanto accaduto a Palermo si è aperto lo stesso dibattito. Ma serve? E’ utile. Tutti conosciamo cosa è possibile pubblicare e poi sappiamo anche deontologicamente cosa è opportuno. Rimane aperto un grosso problema come arginare un’emergenza fatta di violenza e soprusi poi diffusi sul web. Occorre un piano d’emergenza con esperti al lavoro e formazione nelle scuole di ogni ordine e grado. Tanta prevenzione per educare al rispetto e alla responsabilità”, ha concluso.
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