Si continua parlare dello stupro a Palermo avvenuto il 7 luglio al Foto Italico da parte di un branco di ragazzi. A parlare, in un’intervista a Repubblica, è un’ex insegnante, Anna Di Leo, fondatrice dell’associazione Crescita Civile, nata dai primi anni Novanta al 2013, un piccolo faro per i quartieri degradati della città di Palermo che ha visto volontarie, psicologhe e assistenti sociali tentare di salvare i figli e le figlie dal contesto divenuto improvvisamente fragile.
L’ex docente ha spiegato il contesto sociale dell’area in cui vivono i 7 ragazzi colpevoli dello stupro: “Appartengono all’area che si estende da via Montepellegrino fino alla costa di Vergine Maria. Tutti sono passati da noi, l’associazione veniva utilizzata come servizio di babysitteraggio gratuito da mamme, nonne e zie che volevano essere libere. Alcune passavano intere giornate al Bingo”.
E continua: “Ma ne abbiamo salvato solo uno su centinaia. C’è una diffusa cultura dell’abuso su chi è più debole, della sessualità esibita sin da quando erano piccoli e si masturbavano tutti insieme. E non manca l’esaltazione della vita criminale e della mascolinità confermata dalla musica che ascoltano. Ma dal momento che vivono per strada è tutto alla luce del sole, per questo era prevedibile che prima o poi qualcosa del genere da lì sarebbe uscito”.
Secondo Di Leo tutto era prevedibile e riferendosi al branco ha affermato: “So che li hanno sparpagliati perché al Pagliarelli rischiavano, ma il codice di comportamento che non hanno rispettato li mette a rischio anche fuori. Per quanto, guardati dall’esterno i residenti si mostrano compatti. Si proteggono l’un l’altro, sono vicini di casa da generazioni e si conoscono tutti. Ma c’è anche chi tutto questo lo subisce ma ha paura di raccontare. E vorrebbe solo cambiare quartiere”.
E non mancano segnalazioni da brividi nel racconto della ex insegnante dopo che veniva a conoscenza di alcuni fatti. Come quando hanno portato in Caserma una bambina di 6 anni vittima di abusi sessuali in casa: “Ci ha raggiunte la nonna che con altre signore ha iniziato a urlare alla nipotina che era una infame perché non aveva negato l’evidenza riscontrata dalle psicologhe. Quella sera, di ritorno al presidio, temevo che avrei trovato l’auto bruciata”.
Anna Di Leo conclude: “Ho lasciato un buon ricordo ma forse, evidentemente, non l’impatto che speravo”.
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