Dopo l’orribile vicenda dello stupro di Palermo da parte di un branco di sette ragazzi nei confronti di una giovane donna, l’opinione pubblica si è mossa a condividere pensieri e preoccupazioni sulla deriva giovanile.
Lo ha fatto una docente di Palermo con un video che ha raggiungo milioni di visualizzazioni. Uno sfogo molto duro e accusatorio nei confronti dei genitori.
A intervenire con un articolo su Repubblica è la scrittrice e insegnante Stefania Auci che parla di questo tanto critica rapporto docenti-studenti-genitori.
La scrittrice afferma: “Da docente, non posso sottrarmi alle accuse che spesso vengono rivolte alla scuola, che dovrebbe formare, «far crescere». Troppe volte ho sentito dire che i ragazzi di oggi non hanno sane regole morali, né di norme di comportamento che li aiutino a capire cosa è bene e cosa è male. Strumenti culturali minimi, che sembrano diventati un lusso, e che invece dovrebbero essere dati, di concerto, da famiglia, scuola e società”.
E continua: “Da Nord a Sud, dalla scuola privata all’ultimo istituto di un quartiere disagiato, il patto educativo tra scuola e famiglia si è indebolito a seguito della progressiva delegittimazione del ruolo della scuola nella vita dei ragazzi. Se prima c’era una condivisione, un’unità di voce e di intenti tra famiglia e scuola (se prendi una nota, nessun genitore dubitava del fatto che fosse «meritata»), ora i ragazzi si sentono tutelati da genitori con il ricorso facile, che non ammettono la messa in discussione del figlio e, di conseguenza, ne giustificano a priori ogni atteggiamento. Non è neppure infrequente che i genitori neghino l’evidenza, che raccontino di figli angelici traviati da cattive compagnie e da ragazze un po’ troppo «sveglie», perché mai e poi mai i loro pargoli guarderebbero simili film o direbbero certe frasi o avrebbero certi comportamenti. E la testimonianza dei colleghi che raccontano di aggressioni verbali pesantissime o di sedie scagliate contro di loro viene, quando va bene, minimizzata. L’assunzione di responsabilità, il riconoscimento dei propri errori sono eventi rari”.
“Per noi insegnanti è uno scontro aperto – ammette la docente – quello tra parole sfocate e immagini di fuoco, tra un modello di vita quieta e quello di una vita eclatante: ci troviamo – ognuno con la propria sensibilità, con la propria formazione e con la propria pazienza – ad affrontarlo ogni giorno. Ed è uno scontro reso ancora più difficile dalla consapevolezza che lo Stato è, al momento, latitante, per non dire di peggio. Si agitano spettri di pene draconiane, ma nessuno parla della necessità urgente di una nuova pedagogia, che tenga conto del mutamento dei costumi sociali determinato dall’avvento del web”.
“Eppure non possiamo (io non posso) fare diversamente: la scuola è un baluardo per la difesa della società civile, oggi più che mai – conclude Auci. Anche se le famiglie s’indeboliscono, anche se la pressione diventa troppo forte, noi docenti dobbiamo continuare a parlare ai ragazzi di rispetto delle regole, di consenso e di uso equilibrato del linguaggio. Attenzione però: non bastano il progetto o il cartellone da appendere nell’atrio; serve una formazione nuova dei docenti, oltre che incontri programmati delle classi con gli psicologi, i pedagogisti, gli assistenti sociali, soprattutto in contesti difficili. Finché questo non succederà, rimarremo in una situazione di emergenza, sempre pronta a dare origine ad altri cani rabbiosi e ad altri corpi (femminili) violati. E noi, inevitabilmente, spaventosamente, saremo sempre più anestetizzati”.