Sull’inizio dell’anno scolastico, il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, ostenta certezze. A partire dall’approdo in cattedra dei docenti dal primo giorno di scuola, anche evidentemente attraverso le 112 mila immissioni in ruolo che partiranno entro un paio di giorni.
Durante l’inaugurazione di Lef, il Digital Innovation Hub più integrato del mondo, presso San Vito al Tagliamento, il numero uno dei Mi ha detto che su “cattedre e supplenze, siamo molto avanti”.
I posti liberi, sostiene il ministro, sarebbero in procinto di essere assegnati, anche se non tutti subito, considerando che la procedura straordinaria per i precari con almeno tre anni, da attuare sui posti residui, si completerà solo tra un anno.
“Con gli interventi che abbiamo fatto come Governo e che sono poi passati in Parlamento che si chiudono il 24 – il riferimento è quindi al decreto Sostegni Bis, ndr -, abbiamo praticamente coperto i posti vacanti con concorsi straordinari, con la chiamata dei concorsi pregressi, con gli interventi previsti per immettere nel concorso dell’anno prossimo tutti i posti vacanti disponibili; abbiamo anticipato più di 40 giorni per le supplenze residue, quindi tutto quello che doveva essere fatto è stato fatto. Su questo mi sento sicuro”.
Bianchi ha quindi detto che “dobbiamo guardare con fiducia alla ripartenza delle scuole: stiamo lavorando moltissimo su questo, e abbiamo da tempo messo la scuola in presenza come la nostra priorità assoluta. Lo abbiamo detto dall’inizio, quando durante l’ultima ondata abbiamo voluto che i bambini rimanessero a scuola e facessero gli esami in presenza”.
Malgrado la modesta partecipazione del corpo docente, secondo il ministro “anche l’apporto della scuola in estate” va considerato “un grande successo”, perché “ha consentito di recuperare moltissime attività perdute. Lavoriamo giorno e notte per riaprire in presenza”, ha sottolineato.
Il responsabile del dicastero di Viale Trastevere ha quindi specificato che “il problema non è la Dad: dire che la colpa è sua è solo lenitivo del dolore, una sorta di autoassoluzione. La Dad ha esasperato problematiche che c’erano anche prima: una parte del Paese, il 40% dei ragazzi non raggiunge lo standard internazionale”.
Il fatto, ha sottolineato Bianchi, è che “rimuovendo la DaD non rimuoviamo i nostri problemi. Certo dobbiamo essere in presenza, ma con una partecipazione diversa: partecipazione a quel processo di cambiamento della didattica. Qui si apre una battaglia tra i riformatori e chi invece difende soltanto vecchi privilegi. Io sono pronto”.
Bianchi ha quindi detto, riferendosi al Recovery Fund, che “il Pnrr deve dimostrare che siamo capaci non solo di investire e di attuare, ma dobbiamo dimostrare di essere un grande paese che non lascia indietro nessuno ma pretende di andare avanti, con la scuola al centro come motore”.
Mi sono domandato spesso cosa permette a un territorio-paese di crescere: non sono finanza, materia prima, tecnologia, ma la capacità umana di sentirsi responsabili del proprio territorio, il dovere di sentirsi pionieri, di essere solidali”.
“In questi cinque mesi – ha aggiunto – abbiamo predisposto tutto per affrontare il Pnrr, e predisposto le condizioni perché tutti siano “al loro posto” in settembre. Abbiamo investito 5 miliardi per la salute ma anche per le tecnologie. Il punto fondamentale è questo: ci serve per arrivare preparati ad un appuntamento non con l’Europa, ma con noi stessi”, ha indicato Bianchi.
“Stiamo prendendo impegni che graveranno sulle spalle dei nostri ragazzi e il solo modo per non pesare su di loro è ricominciare a crescere. Noi abbiamo predisposto tutte le condizioni, e siamo preparati anche a possibili rischi. Il problema è la coscienza di dove dobbiamo andare verso un Paese in cui l’educazione serve ad approfondire le nostre competenze in attesa del mondo che verrà, che non sappiamo quale sarà”.
Facendo riferimento, infine, agli ultimi dati Invalsi, Bianchi ha detto che “il nostro è un Paese diviso: i risultati di alcune regioni e di altre sono troppo differenti, e queste ineguaglianze bloccano il paese. La parte di Paese che traina non è sufficiente a muovere tutto il Paese”.
Occorre “lavorare sul processo di apprendimento individuale e collettivo: modelli educativi in cui la condivisione dell’esperienza sia un elemento fondante. Serve la capacità di allargare la platea dei partecipanti”, ha concluso il ministro.
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