Sugli esiti della mobilità 2016/17 è stato detto e scritto ormai di tutto. Adesso tutto il clamore sta confluendo nella lotta intestina tra docenti: i neoimmessi rimpiangono il lavoro precario, precario sì ma più comodo; i residuali precari delle GAE gridano al furto di cattedre che avverrà con le assegnazioni provvisorie; gli uni gridano agli altri: “Lo sapevate che sareste finiti lontano da casa! Adesso non sottraeteci i posti per gli incarichi a TD”. Gli altri rispondono: “Peggio per voi che non avete voluto correre il rischio di entrare in ruolo sì, ma all’altro mondo”.
Pochi, dunque, sembrano essere i docenti veramente soddisfatti dei risultati ottenuti.
Tra questi, mi permetto di aggiungere il coro di lamentele dei docenti appartenenti alla fase A della mobilità (immessi ante 2014/15). Anche a questi la mobilità straordinaria non ha lesinato sgradite sorprese.
La mobilità intra-provinciale di fase A, infatti, si è giocata soltanto sui posti liberi per pensionamenti, eventuali incrementi in organico di diritto o resi liberi da movimenti esclusivamente intra-provinciali.
Eventuali sedi liberatesi a seguito di trasferimenti interprovinciali sono andate a vantaggio delle fasi successive della mobilità e a danno dei docenti già titolari in provincia, con i risultati che seguono e che riporto sulla base di esperienza diretta.
1) E’ il mio caso. Chiedo, in fase A, passaggio di ruolo e non l’ottengo per assenza di cattedre libere. In fase interprovinciale si liberano le cattedre ma ormai vengono occupate da passaggi di ruolo interprovinciali. Risultato: mi tengo stratta la mia cattedra nella mia classe di concorso e a casa mia. Ci resto un po’ male, ma per rispetto di situazioni ben peggiori della mia non voglio neanche farne un dramma.
2) E’ il caso di una mia collega. Questa docente non ottiene trasferimento nel comune richiesto per mancanza di cattedra. In fase interprovinciale, invece, si liberano le cattedre ma ormai vengono occupate da passaggi di ruolo interprovinciali o da neo-immessi di fase C.
La collega si rassegnerà quindi a continuare a percorrere tranquillamente i suoi 100 km quotidiani, benché all’interno della propria provincia.
Se mi è concesso, però, 100 km sono pur sempre 100 km, fatti di costi, rischi, fatica, ore sottratte alla famiglia e alla professione stessa. Situazione – di certo – mai paragonabile alle separazioni forzate in atto in questi giorni, ma vedersi sfumare sotto agli occhi la cattedra del proprio comune solo perché la sequenza delle operazioni quest’anno ha previsto un nuovo e discutibile ordine di assegnazione delle cattedre, non sarà sicuramente piacevole.
Con il contratto di mobilità degli scorsi anni, invece, queste situazioni non si sarebbero mai verificate, perché i movimenti intra-provinciali e interprovinciali operavano simultaneamente, per cui eventuali cattedre resesi libere in uscita venivano contestualmente occupate da docenti in entrata con la consueta sequenza di precedenze (prima i movimenti comunali, poi quelli tra comuni diversi, e solo alla fine quelli interprovinciali e di mobilità professionale).
E’ mai possibile che i sindacati non si siano resi conto, in fase di stesura del CCNL, del vulnus che si sarebbe verificato con la scissione tra i movimenti intra e inter provinciale?
Sarebbe stato necessario unificare la fase A e B dei movimenti. Alcune situazioni ingiuste, forse, non si sarebbero verificate.
Adesso non credo che sarà facile sanare queste situazioni, prima perché si sono verificate rispettando una sequenza contrattuale, per cui si può solo ricorrere contro il destino e la sfortuna; poi perché adesso gli ambiti sono talmente saturi, almeno nella mia provincia, che eventuali posti liberi dei prossimi anni serviranno solo a compensare prevedibili esuberi.
Con la speranza che anche questa, tra le altre rimostranze, venga presa in debita considerazione da chi dovrà mettere mano alla mobilità negli anni a venire, auguro a tutti di svolgere comunque il proprio ruolo con la professionalità che i nostri alunni – ed essi soltanto – meritano.
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