Attualità

Suicidio Senigallia: il bullismo non può essere combattuto solo a scuola, troppi “cattivi” esempi dalle famiglie e dai social

La vicenda del ragazzino suicida di Senigallia è talmente drammatica che si fa davvero fatica a scrivere e a commentare.
Possiamo solo dire che in ogni caso per esprimersi sulla questione sarebbe necessario avere qualche dato in più e conoscere più a fondo il contesto e i contorni di quanto accaduto.
Ogni suicidio è un caso a sé e decifrarne le ragioni è lavoro che possono e devono fare solo gli esperti.

Ciò su cui ci sembra invece di poter intervenire è il commento del ministro dell’Istruzione che così si è espresso: “Al di là delle singole responsabilità, che saranno accertate nelle sedi opportune, non possiamo tollerare che il bullismo diventi un tratto di una certa gioventù.  Dobbiamo eradicarlo dalla società, partendo dalla scuola e in collaborazione con le famiglie. È importante ripristinare, proprio a partire dalla scuola, alcuni principi, quali il rispetto delle regole, il valore assoluto della persona umana, la responsabilità individuale”.
Per questo – ha concluso Valditara – continueremo a lavorare con ancora maggiore decisione per contrastare la cultura della violenza e della prepotenza, dell’insulto e del dileggio”.

Ora, sul fatto che il bullismo vada eradicato non ci sono dubbi, così come non ci sono dubbi che la cultura della violenza e la pratica dell’insulto e del dileggio vadano contrastate.
Ciò che non è chiaro è invece come si possa concretamente intervenire. Secondo quanto detto più volte dal Ministro le nuove regole sul voto di condotta e le Linee Guida sulla educazione civica dovrebbe servire a ripristinare quel senso di ordine e rispetto che “il Sessantotto” aveva spazzato via.
Francamente ci sembra una lettura molto semplicistica della realtà: come ben sanno gli uomini che sono stati ragazzi negli anni 60 e 70, bullismo e nonnismo erano pratiche pressoché normali nelle caserme italiane e molto spesso erano persino tollerate dagli Ufficiali. Nell’immaginario collettivo, d’altronde, il servizio militare serviva anche un po’ come “rito di iniziazione”, aiutava a “diventare uomini” si diceva.
Bullismo e nonnismo erano insomma pratiche socialmente tollerate se non proprio accettate.

Diciamo questo per significare che pensare di sconfiggere il bullismo fra le pareti scolastiche è una pura illusione.
D’altronde quante volte, in questi anni, abbiamo dovuto sentire o leggere i commenti di genitori che parlando di comportamenti violenti (ma anche assurdi) di ragazzini di 12-13 anni hanno usato termini come “ragazzata” o “bravata”?
Lasciamo stare i genitori (anche illustri) che difendono il pargolo di famiglia accusato di stupro dicendo che tutto sommato la ragazza era vestita in modo provocante, ma ci è toccato persino leggere di ragazzi che hanno scaraventato da un ponte 4 gattini malconci con genitori che hanno minimizzato (“veramente i poveri micetti erano già morti”).
Vogliamo dire che il bullismo sta fuori della scuola, nelle famiglie e in altri contesti sociali.
E non sempre è collegato a situazioni di disagio sociale, tanto che le cronache sono piene di “rampolli” di “buona famiglia” che finiscono davanti al giudice per comportamenti anche gravi, compresi i reati contro la persona.

Allora, quella di sconfiggere la cultura della violenza e del dileggio usando il 5 in condotta o, peggio ancora, con una “tesina” sul significato dell’articolo X della Costituzione è davvero una idea da “anime belle”.
Tanto più se si pensa che oggi va per la maggiore una nota “autrice di prodotti multimediali” che, intervistata, alla domanda “ma tu sei laureata?”, risponde seraficamente: “Ma stiamo scherzando? Io sono una bella ragazza posso tranquillamente farmi mantenere da uomini facoltosi. La laurea serve alle mie coetanee bruttarelle (lei veramente usa un altro termine un po’ colorito) che devono cercarsi un lavoro”.
Forse non sarebbe male farsi qualche domandina sulla reale utilità delle tesine per rimediare il brutto voto di condotta.

Reginaldo Palermo

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