Una docente dell’istituto di Senigallia, nelle Marche, frequentato dal ragazzo di quindici anni che si è tolto la vita dopo essere stato per giorni vittima di bullismo ha rotto il silenzio, in anonimo. Il suo è un vero e proprio appello, un grido di dolore, riportato da Ansa.
“Noi adulti non abbiamo gli strumenti”
“Non è giusto” afferma la docente. “A 15 anni devi avere una via d’uscita, dobbiamo aiutarli a trovarla. Tanti, troppi ragazzi sono immersi in un dolore che non conosciamo, non vedono l’orizzonte, né il futuro. Sono inghiottiti in un buco nero dove non esiste la parola speranza, dove si sentono soli, incompresi e invisibili”.
“E noi adulti non abbiamo gli strumenti per affrontare un disagio che ha proporzioni enormi. Lo dicono i numeri, lo urlano gli psichiatri, i reparti di igiene mentale pediatrica, gli interventi di emergenza e gli stessi docenti, inermi”, ha aggiunto con amarezza.
“Abbiamo bisogno di aiuto. Ne hanno bisogno i ragazzi. Di supporto qualificato, universale, accessibile a tutti, garantito dallo Stato. Altrimenti non ne usciamo. Non posso che aggrapparmi alla speranza che la sua morte non sia vana, che spinga i ragazzi in difficoltà ad avere fiducia e ad aprirsi e noi adulti ad essere pronti a supportarli. E che ci obblighi tutti a guardarci dentro. Perché un ragazzo che si toglie la vita a 15 anni ci sta urlando che nessuno è esente da colpe, che abbiamo fallito tutti. E non deve più succedere”, ha concluso.
Genitori indagati per omessa custodia dell’arma
Il ragazzo aveva appena iniziato il secondo anno delle superiori in una scuola diversa, e già dal secondo giorno è stato preso di mira. I compagni di scuola gli strizzavano i capezzoli, lo colpivano nelle parti intime, gli facevano una voce effeminata. Quando ne ha parlato la prima volta con la madre non voleva nemmeno ripetere gli insulti. Il dirigente scolastico della scuola che frequentava in precedenza ha detto: “Aveva cambiato scuola per questioni di interesse didattico, nonostante sia stato promosso senza problemi. Non è mai emerso che qui fosse stato bullizzato”.
Alle 3 del mattino del 14 ottobre poi si è allontanato da casa con il cellulare spento e si è tolto la vita in un casolare. La procura di Ancona ha aperto un’inchiesta per istigazione al suicidio. “Se qualcuno avesse parlato prima invece di fare gruppo con i prepotenti forse sarebbe ancora qui”, dice la legale a La Stampa.
L’arma, del padre vigile urbano, era correttamente riposta in un armadietto blindato. Il 15enne lo ha aperto perché sapeva dove era nascosta la chiave. Per questo ora si indaga anche per omessa custodia nei confronti dei genitori.
Le vessazioni insopportabili
Come riporta Il Corriere della Sera, ci sono due nomi, quelli di due compagni di classe, presunti autori di insulti irriferibili e vessazioni, anche fisiche, sempre più pesanti nei confronti del ragazzo. I suoi modi gentili erano oggetto di scherno, continue offese volgari. Ma non solo. Poteva capitare che al bagno venisse circondato allo scopo di essere “pizzicato” dolorosamente e anche con delle percosse violente in tutto il corpo.
Mercoledì il ragazzo è tornato da scuola con un’espressione diversa sul volto, forse più risoluta. La mamma gli ha chiesto cosa fosse successo e lui ha risposto che aveva “fatto quel che deve fare ogni uomo”, ovvero offrire “la mano, in segno di pace”. Ai due bulli, il ragazzo aveva proposto una specie di distensione, con queste parole: “Adesso basta, smettetela. E diventiamo amici”. “Ma all’indomani i soprusi sono ripresi. E semmai ancora più insopportabili”, ha detto la legale della famiglia.