Sul 5 per mille alla ricerca

L’aumento dei fondi per la ricerca e per l’università è un’esigenza largamente condivisa in Italia, ma la scarsa disponibilità di risorse pubbliche rimane un vincolo difficilmente superabile.

Ed è per questo motivo che le recenti Leggi di Stabilità hanno previsto la possibilità di destinare, con la dichiarazione dei redditi, il 5 per mille ad enti di ricerca e università, senza alcun onere per l’interessato.

Lo Stato si è quindi affidato a noi contribuenti, che siamo stati chiamati a destinare i ricavati del 5 per mille all’erogazione di borse di studio per giovani ricercatori.

Si è trattato di un finanziamento aggiuntivo  a sostegno di quattro aree: no profit, Università e ricerca, ricerca sanitaria, iniziative sociali comunali, per  avvicinare sempre più noi cittadini ai temi della Ricerca, spesso percepita come un concetto astratto e lontano.

Così negli ultimi anni nelle casse del volontariato e dell’associazionismo sono arrivate questi contributi, ma sono stati spesi bene? Chi ha controllato?

Non essendoci un controllo sull’effettivo impiego del danaro, la responsabilità è stata lasciata a noi contribuenti, ai quali è toccato stabilire chi merita o meno fiducia, chi svolge la sua attività con efficienza e rigore.

Però in questo modo le organizzazioni grosse e con i mezzi hanno fatto come sempre la parte del leone. Ritengo, comunque, che l’università pubblica non debba dipendere dall’astrattezza di questo finanziamento.

Approvo il 5 per mille, ma penso che la ricerca – in particolar modo quella universitaria – dovrebbe essere sempre di più una priorità nelle scelte e negli investimenti di questo e dei futuri Governi. 

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