Mi presento: ho insegnato Filosofia e Storia nei licei scientifici e classici per 37 anni. Nel programma di Storia era compreso l’insegnamento di Educazione Civica, supportato da manuale dedicato. Tutt’ora mi occupo di formazione dei docenti.
Sono quindi interessata alla introduzione della Educazione Civica secondo legge 20 agosto 2019 n. 92 e alla discussione avviata dalle lettere del sig. Bottero e della professoressa Marchioni in questa rubrica.
Premessa: se l’Educazione Civica è una disciplina che richiede una valutazione in decimi da presentare in sede di scrutinio (e concorrere alla media) vuol dire che si tratta non di un ‘sermone’ ma di una disciplina che tratta contenuti precisi, dotati di fondamento scientifico, adeguati alla costruzione di una cittadinanza che andrebbe vissuta in modo consapevole, razionale e informato.
La trasversalità così come affermata dalla legge 20 agosto 2019 non aiuta certo il lavoro dei colleghi chiamati a costruire un progetto collettivo rigoroso e questo è un punto che andrebbe approfondito con molta serietà. Il rischio che la proposta evoca è indebolire e rendere generico il messaggio che si vuole trasmettere. E questo è un rischio che la scuola non dovrebbe mai correre.
La lettera della collega Marchioni mi ha suscitato un moto immediato di simpatia per il sentimento che rivela per il suo lavoro, ma anche di inquietudine per la inconciliabilità di certe affermazioni. Se, come dice la collega, esistono «ambiti specifici della disciplina IRC» (dove IRC significa Insegnamento della Religione Cattolica, e i due ultimi termini, Religione e Cattolica non sono di poco peso) non vedo come questo assunto si concili con l’immagine (cito) di «un’ora anche di leggerezza …ecc.» [Penso alla storia del Cattolicesimo cercando quali possano essere stati i momenti di ‘leggerezza’ capaci di ispirare la collega].
Penso che questa “leggerezza” che pretende di rivolgersi universalmente a studenti di fedi diverse o di nessuna fede nasconda una ingiustizia o quanto meno una mancanza di rispetto per chi non si riconosce in quella particolare confessione religiosa, per chi con la scelta di non avvalersi rivendica il suo diritto ad esserne lasciato estraneo.
Perché non rispettare un diritto riconosciuto persino in uno Stato che mantiene con la Chiesa Cattolica un regime concordatario (che significa regime di diseguaglianza rispetto ad altre confessioni religiose)?
Il primo atto della ‘missio’ di una scuola che si propone di insegnare la cittadinanza è quello di rispettare i diritti degli studenti che a lei si rivolgono e dei loro genitori.
Si tratta insomma di garantire l’effettività di un diritto su una questione di coscienza in capo a chi non vuole frequentare l’IRC, non essendo d’accordo sulle modalità con le quali tale insegnamento viene proposto (i.e. da persone selezionate dall’autorità ecclesiastica e tenute ad osservare regole di carattere confessionale).
Si discute insomma sul diritto dei laici a non essere coinvolti in attività condotte da esponenti della Curia cattolica. Perché il rispetto di questo diritto dovrebbe indispettire gli insegnanti di IRC? Che danno può causare loro?
Mariangela Ariotti
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