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Sul voto in condotta e altre punizioni: chissà che direbbe don Giovanni Bosco?

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Torna il voto in condotta per gli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado, i quali, se ottengono un punteggio pari o inferiore a cinque su 10 in condotta, non supereranno l’anno e dovranno ripeterlo anche se il loro livello scolastico è all’altezza. Gli studenti delle scuole superiori che ottengono solo sei in condotta dovranno fare un test di Educazione civica e i voti in condotta influenzeranno notevolmente anche l’esame di Stato.

Ma si introduce l’attività di cittadinanza solidale per chi viene sospeso e si prevedono multe per aggressioni al personale scolastico. Il ministro dell’istruzione, con l’approvazione della legge in parlamento, si ritiene soddisfatto, mentre incassa le congratulazioni del direttore dell’Ocse, con doppio compiacimento.

Tuttavia la domanda, oltre a quelle poste dalla stampa estera, rimane: il senso di responsabilità, che devono avere gli alunni, può dipendere dalle sanzioni disciplinari? E ancora: l’autorevolezza di chi educa, insegnando, si può affermare con l’autoritarismo? Inoltre, siamo sicuri che l’atteggiamento autoritario e repressivo, sollecitato dalla paura, sia utile a formare buoni cittadini? Ma soprattutto, ci chiediamo: usarono mai punizioni, anche blande, personalità di educatori come Filippo Neri o don Giovanni Bosco nei loro oratori per i ragazzi che raccoglievano per strada, togliendoli dal malaffare, dal lavoro minorile, dal degrado tanto diffuso nella seconda metà dell’800 e fino agli albori del 900? E don Milani si servì mai, coi suoi alunni contadini e montanari, figli di analfabeti, di strumenti punitivi di tale portata? 

A distanza di alcuni secoli sembra proprio che quegli insegnamenti, basati sull’ascolto e l’accoglienza, siano stati cancellati da dissuasori punitivi e deterrenti come la paura di essere bocciati, di venire in qualche modo castigati, dal voto in condotta che metterebbe in discussione perfino un curriculum di profitti anche importante.  

Ma non solo, sono state rese obbligatorie le attività di cittadinanza solidale per i ragazzi con più di due giorni di sospensione: ma si è certi che costringere a fare del bene porti risultati positivi? In altre parole: prendere qualcuno per le orecchie e portarlo a rendere servizi sociali presso un ospizio o una casa di cura, è una buona palestra educativa? O è invece è del tutto controproducente? Infatti, mettersi al servizio di qualcuno, aiutarlo e sostenerlo non conosce obbligo, come costringere uno studente al soccorso di chi soffre non vuole imposizione.

La buona azione infatti non è una medicina, e per giunta amara, che bisogna prendere per guarire di un male che la scuola, in quanto proprio scuola, deve curare invece con altri accorgimenti.