Egregia redazione, ho letto sulla vostra rivista l’intervento dell’ispettore del MIUR, Max Bruschi, che sostiene, a proposito della questione dei diplomati magistrali, come l’anzianità di servizio non sia “sinonimo” di qualità dell’insegnamento.
E’ evidente che la questione del diploma magistrale è oggi argomento di estrema importanza per il mondo della scuola pubblica.
In ballo c’è la difesa dei diritti di tutti i docenti e si tratta dell’ennesima situazione caotica che vede entrare in conflitto la legge col buon senso, il buon senso con l’organizzazione, e soprattutto che mette in competizione, una competizione distruttiva, docenti artificialmente etichettati in maniera diversa.
Come ho già detto in altri interventi, la competizione tra docenti porta alla distruzione della scuola pubblica come strumento in grado di fornire pari opportunità a tutti i cittadini. Distruzione che può stare a cuore solo a chi cerca di alimentare schiere di cittadini incapaci di potersi porre in maniera critica e costruttiva nei confronti della società. Una società che sarebbe però pronta ad accoglierli come efficaci esecutori di compiti non scelti dai singoli individui, bensì dettati dall’alto.
Il tentativo di dividere il corpo docente risale ormai a molti anni fa, all’introduzione delle SISS che crearono di fatto due percorsi di accesso ed iniziarono ad indebolire il tradizionale sistema dei concorsi pubblici.
Oggi il sistema di formazione e accesso dei docenti all’insegnamento sembra essere completamente saltato. Ricorsi e sentenze che si contraddicono, docenti disorientati dall’assenza di certezze. Pochi titolari ancora in grado di poter contare su cattedre certe, molti con la certezza di un contratto che però non garantisce la stabilità della cattedra e che li lega alle necessità del Piano di Offerta Formativa Triennale in teoria, ma annualmente aggiornabile.
Anche l’esperienza sul campo viene da tempo messa in discussione. L’incertezza della titolarità svilisce il lavoro svolto da ogni docente, le sue peculiarità e soprattutto la sua esperienza. Ciò che un tempo era il vero “atout” di ogni professionista, è stato messo in discussione, prima dalla legge 107 del 2015 ed ora, oltre che dall’ispettore del MIUR, anche da molti dei partecipanti al dibattito sulla questione dei diplomati magistrali.
In tutto ciò, è appunto il caso dei diplomati magistrali ad essere paradigmatico di un’attenzione meramente burocratica di alcuni Organi dello Stato nei confronti dell’Istruzione.
Per questo la soluzione all’emergenza dei diplomati magistrali e al caos generato dalle leggi che vanno dalla fine degli anni novanta ad oggi, non può essere trovata in ambito giudiziario bensì in quello legislativo. Intervento legislativo che deve porsi in maniera paradigmatica e quindi cercare di risolvere non solo il singolo problema bensì l’intera questione del mondo della formazione e dell’accesso all’insegnamento dei docenti.
E’ necessario tracciare una nuova linea di partenza su cui tutti gli aspiranti docenti possano posizionarsi, senza distinzioni pregresse.
Ma prima di far ciò, e rapidamente, nel tempo di una legislatura, è necessario sanare ogni situazione pregressa. Anche perché la scuola pubblica ha bisogno di insegnanti.
Nello specifico della questione dei diplomati magistrali, una soluzione, forse applicabile anche ad altre emergenze che dovessero crearsi in un futuro breve, potrebbe essere l’accesso in GaE a tutti diplomati magistrali con una congrua esperienza di lavoro nella scuola pubblica (due anni?), permettendo un concorso per far accedere i laureati in Scienze della formazione primaria.
Luca Fantò