I lettori ci scrivono

Sulla riapertura delle scuole

Riapertura sì riapertura no. Anzi riapertura no, troppo rischioso. Forse a settembre, vedremo come. Intanto ripartano le attività “produttive”, tanto a scuola c’è la DAD.

C’è un aspetto, forse poco considerato, su cui mi piacerebbe richiamare l’attenzione: la ricaduta di questo periodo di scuola sul vissuto emotivo, quello che poi va a formare il tessuto memoriale e dunque la struttura della persona; ovvero: come i nostri alunni vivono e ricorderanno gli ultimi mesi di questo anno scolastico, l’ultimo giorno di scuola. Pensateci un attimo e concentrate l’attenzione soprattutto sulle classi terminali di ogni ciclo: le ultime classi della materna, le quinte della primaria, le terze della secondaria di primo grado, le quinte della secondaria di secondo grado. Con climax ascendente, a mio avviso, perché le terze medie e le quinte superiori (mi piace chiamarle così) avranno anche degli esami che attesteranno la loro preparazione in quel ciclo scolastico. E i ragazzi delle superiori, in più, sanno che il loro ultimo giorno di scuola sarà l’ultimo della scuola propriamente detta, prima della dispersione nel mondo del lavoro o dell’Università (che è comunque altro dalla scuola). Mi chiedo se qualcuno ci abbia pensato, a cosa può voler dire finire la scuola così. Sia chiaro, questo discorso si aggiunge a tutto quello, già detto da molti e che condivido in pieno, sull’efficacia parziale della DAD e sulla insostituibilità della presenza. Ma, se per le altre classi può (forse) valere il discorso che una parte di quanto perso verrà recuperata nell’anno scolastico successivo, e che comunque il loro percorso continuerà in quello stesso ciclo il prossimo anno, per le classi terminali questo non varrà. Per loro, la scuola finisce qui. In questo modo.

E allora. Possibile che non si possa pensare, nel quadro del distanziamento sociale che è l’unica (quasi) certezza che viene ribadita ogni giorno e ogni minuto dalla comunità scientifica, ad una riapertura scaglionata in questo senso? Dal 15 o dal 18 maggio, per tre settimane, a scuola le quinte della primaria, le terze medie e le quinte superiori. Poi gli esami, seri e con le prove scritte, come credo anche la maggior parte degli studenti vorrebbe (il mega orale da 60 punti su 100 per le superiori è un obbrobrio che grida vendetta). Dal 3 giugno al 30 giugno, per quattro settimane, il terzo (e magari anche il secondo anno) della scuola dell’infanzia. Occupando più aule, stando al massimo in 10 o 15 per aula a seconda dell’ampiezza e facendo piccoli gruppi e turni per favorire la divisione non rigida delle classi. Evitando gli assembramenti sia all’ingresso sia all’uscita sia sui mezzi pubblici (gli alunni saranno un terzo o un quinto del totale normalmente accolto dalle strutture). Alleggerendo, per le altre classi ancora a casa, il carico delle video-lezioni (al massimo solo un paio il pomeriggio, perché i docenti sarebbero comunque impegnati al mattino a scuola). Insomma studiando il sistema per garantire, contemporaneamente, la scuola e la protezione sanitaria. Che è ciò che gli esperti stanno già facendo per gli altri settori in riapertura fra pochi giorni.

Immagino sia troppo tardi. Non si fa in tempo, ci diranno. Ma che la scuola non meriti il trattamento e l’attenzione che gli altri settori stanno giustamente avendo, è qualcosa di grave. E che, alla fine dell’emergenza, dovrà essere spiegato.

Davide Garbuglia

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