Categorie: Personale

Sulla scuola lo spettro “Class action”

Continuano a piovere sui dipendenti della scuola forti critiche per il loro eccessivo assenteismo dal posto di lavoro. A rilasciare dichiarazioni “pesanti” in questa direzione è stato anche il Presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà: nel rendere pubblico il suo appoggio all’idea del Ministro della pubblica amministrazione, Renato Brunetta di adottare una “class action” per ridurre le disfunzioni dei servizi pubblici, il Presidente ha citato proprio i lavoratori della scuola.

Condivido l’idea di Brunetta – ha detto Catricalà nel corso di un dibattito a Cortina – perché ad esempio in casi come quello di una scuola che non funziona, dove i professori sono sempre assenti, potrebbe essere data la possibilità ai genitori di proporre una class action“.
Le “Class Action” – tipiche sono quelle sostenute negli Usa per i danni da fumo o ambientali – potrebbero certamente essere una delle strade da considerare per debellare determinati limiti tipici del lavoro italiano: un avvocato, in pratica, condurrebbe una causa per un gruppo molto numeroso di persone danneggiate – nel caso della scuola le famiglie – per lo stesso motivo e dalla stessa controparte (il docente).
Vale la pena però fare alcune considerazioni, alla luce anche dei dati ufficiali di assenteismo. Premesso che è un dovere dei Ministri della Repubblica studiare tutte le possibilità per ridurre le “distorsioni” del sistema pubblico, se non altro per gli effetti economici negativi che produce, vale la pena ricordare che i lavoratori della scuola possono vantare molti primati: ma non di certo quello dell’assenteismo. Da una recente indagine della Cgia di Mestre – realizzata su dati certi forniti della Ragioneria generale dello Stato relativi al 2006- risulta infatti che rispetto ad un collega della pubblica amministrazione (che colleziona in media 11,54 giorni di assenze l’anno) il dipendente della scuola (docente ed Ata) rimane a casa per lo stesso motivo quasi due giorni in meno l’anno (9,66 giorni). Solo tra i dipendenti delle Regioni a statuto speciale e le province autonome le assenze per malattia risultano inferiori rispetto alla scuola. In tutti gli altri settori del pubblico impiego i giorni in cui il lavoratore è rimasto a casa per motivi di salute sono di più: poco più di 13 nei Corpi di polizia e nelle Agenzie fiscali; quasi 13 tra i dipendenti della presidenza del Consiglio; 12,73 nelle Regioni e nelle Autonomie locali; 12,69 negli Enti non Economici, e 12,40 nella Sanità; 11,38 tra i lavoratori degli enti di ricerca.
L’istruzione, certo, con oltre un milione e centomila dipendenti, pesa di più per le casse dello Stato: sempre nel 2006 sono stati infatti spesi per le supplenze ben 1,076 miliardi di euro: un record di spese sforato solo dalla Sanità pubblica (che ha toccato 1,164 miliardi di euro). I due comparti (Sanità ed Istruzione) coprirebbero oltre la metà del budget (poco più di 4 miliardi di euro) speso per tutti i dipendenti italiani. Ci sono poi casi limite, veri e propri eccessi, come quello del famigerato professor M. di Milano, residente al Sud, che nel 2002-2003 collezionò il 72% di assenza per malattia e l’anno successivo si attestò al 61%, per assestarsi negli ultimi tempi – prima del suo licenziamento – attorno al 50% di mancate giornate di lavoro. Tutte assenze non certo causate da gravi patologie.
Ma certi eccessi possono giustificare questa sorta di “tiro al piccione” generalizzato che si sta venendo a determinare verso i lavoratori della scuola?
Alessandro Giuliani

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