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Sull’inclusione scolastica, per chi suona la campanella, chiedono i COBAS?

L’inclusione sociale delle persone con disabilità, obiettivo riconosciuto dalle politiche nazionali ed europee, trova un suo passaggio nel diritto all’istruzione. L’Italia con la legge n. 517 del 1977, ha pienamente riconosciuto l’inclusione scolastica degli alunni/e in situazione di disabilità, assumendo un ruolo guida nella compagine europea. A partire dagli anni 70, nel nostro Paese, si assiste ad un graduale passaggio dal concetto di inserimento a quello di integrazione. La produzione normativa testimonia l’obiettivo di dare attuazione a un “diritto”, ma soprattutto di offrire strumenti, metodi, servizi ed interventi educativi individualizzati e volti al pieno sviluppo della personalità degli alunni in situazioni di difficoltà. Nell’ambito della legge quadro n. 104 del 1992 viene introdotto lo strumento del profilo dinamico funzionale utile alla definizione del livello di sviluppo che l’alunna/o deve raggiungere, tenuto conto della diagnosi funzionale. Questi strumenti permettono di elaborare il PEI ossia il documento in cui vengono indicati gli obiettivi educativi e didattici dal gruppo di lavoro per l’inclusione composto dai docenti di sostegno e di classe, dal Dirigente scolastico, genitori, e operatori interni e/o esterni quali terapisti dell’Asl o assistenti per l’autonomia e la comunicazione. Il Glo ha il compito di individuare gli interventi, le strategie didattico-educative riabilitative e di socializzazione, assegnando le ore di sostegno all’alunno/a. A fronte della normativa menzionata è opportuno chiedersi, ad oggi, se la scuola italiana mantiene la sua palestra di inclusione e quanto l’impianto giuridico e normativo sia stato disatteso.

Un processo di inclusione è il risultato, di una serie di interventi che, coordinati tra loro, rendono il tempo scuola fruibile ed efficace. La scuola spesso non ha classi adeguate, basti pensare alle classi pollaio. L’accessibilità, intesa come superamento delle barriere architettoniche, presenta forti criticità nei servizi igienici, porte, ascensori, scale e pavimentazione non a norma. Inoltre, le risorse assegnate sono totalmente insufficienti per il pieno diritto allo studio. I docenti di sostegno, svolgono un ruolo guida nel favorire il processo di inclusione ma le riduzioni progressive degli organici e la condizione di “precarietà” degli stessi non garantiscono la continuità didattica. L’inclusione non è delegabile al solo insegnante di sostegno specializzato, perché parte di un progetto che riguarda tutti i docenti della classe, corresponsabili, con le loro competenze relazionali, didattiche e metodologiche nel trovare strategie di supporto ad una didattica inclusiva. A più di un mese dall’inizio dell’anno scolastico nelle nostre scuole mancano insegnanti di sostegno, non si procede alla nomina dei supplenti ed è molto frequente che i bambini e le bambine tornano a casa per mancata copertura frequentando così un tempo ridotto anziché pieno di opportunità. È bene ricordare i pronunciamenti dei giudici del TAR contro la riduzione delle ore di sostegno. Ricorrere alle aule dei tribunali per vedere garantito il diritto allo studio è mortificante per i genitori e vergognoso per un paese civile. Inoltre, l’accesso ai servizi pubblici di neuropsichiatria infantile per valutazioni e terapie non è minimamente garantito dati i lunghi tempi di attesa.

Sappiamo quanto sia fondamentale, in questa fase evolutiva, un intervento tempestivo. Ritardare l’accesso ai servizi di neuropsichiatria significa che il “disturbo” diviene meno trattabile e quindi, l’intervento è meno efficace. Le famiglie che possono sostenere la spesa economica ricorrono e trovano risposte nei centri privati. Oggi desta molta preoccupazione l’assegnazione degli operatori educativi per l’autonomia e la comunicazione, in quanto potrà essere garantita “nei limiti delle risorse disponibili”. La carenza di fondi comunali, con l’autonomia differenziata, cancellerà e ridurrà anche queste figure. È difficile rintracciare quel pensiero culturale e pedagogico che ha permesso al nostro Paese, negli anni 70, di compiere scelte importanti per la difesa di diritti costituzionalmente garantiti. Occorre un cambio di rotta e di visione culturale dove ogni differenza dovrebbe trovare spazio, perché l’unicità di ogni bambina/o, con le sue caratteristiche, i propri stili relazionali e cognitivi, non sia un problema e, come scriveva Lorenzo Milani: “chi era senza basi, lento e svogliato si sentiva il preferito e veniva accolto come voi accogliete il primo della classe”. La scuola non può essere governata in modo ragionieristico e con tagli continui se vogliamo garantire diritti per tutte e tutti.

Beatrice Corsetti Esecutivo nazionale COBAS Scuola

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